La falsa filastrocca, un racconto di Mary Shelley

Le edizioni Clichy portano in libreria La tomba senza nome, e altri racconti inediti di Mary Shelley tradotti da Francesca Rizzi. Un’appassionante raccolta di racconti dell’autrice di Frankenstein, la maggior parte dei quali inediti in Italia.

Cattedrale vi propone uno dei racconti della raccolta, per gentile concessione dell’editore.

La falsa filastrocca
di Mary Shelley

Vieni, dimmi dove si trova la damigella il cui cuore può amare senza inganno,
e girerò il mondo intorno per sospirare un momento ai suoi piedi.
Thomas Moore

Un bel giorno di luglio, la bella Margaret, regina di Navarra, in visita presso il fratello reale, organizzò una festa in campagna per il mattino seguente, alla quale Francis rifiutò di partecipare. Era malinconico, si diceva a causa di un litigio fra amanti con una dama favorita. Giunse il mattino e una pioggia scura e cupe nuvole distrussero in colpo solo i piani della corte. Margaret era arrabbiata e si stava stancando: la sua unica speranza di svago era riposta in Francis, ma questi si era chiuso in sé stesso, un’ulteriore ottima ragione per volerlo vedere. Lei entrò nella sua stanza: lui era in piedi vicino alla finestra contro la quale batteva la pioggia rumorosa, scrivendo sul vetro con un diamante. La sua unica compagnia erano due bellissimi cani. Non appena Margaret entrò, questi chiuse velocemente le tende di seta della finestra, e sembrò un po’ confuso.
«Che tradimento è questo, mio signore» disse la regina, «che vi fa arrossire? Devo vederlo anche io».
«È un tradimento» replicò il re, «perciò, dolce sorella, non potete vederlo».
Ciò accrebbe ancora di più la curiosità di Margaret e ne seguì una divertente sfida; Francis alla fine cedette: si gettò su un enorme divano dallo schienale alto e quando la dama scostò le tende con un ampio sorriso, divenne serio e malinconico, mentre rifletteva sulla ragione che aveva ispirato il suo disprezzo contro tutto il genere femminile.
«Cosa abbiamo qui?» esclamò Margaret, «no, questa è lèse majesté [1]:
“Souvent femme varie, bien fou qui s’y fie!” [2]
Un piccolissimo cambiamento migliorerebbe enormemente le vostre rime… non funzionerebbero meglio così:
“Souvent homme varie, bien folle qui s’y fie!”? [3]
Potrei raccontarvi venti storie sull’incostanza degli uomini».
«Mi accontenterò di una storia vera sulla fedeltà di una donna» disse seccamente Francis, «ma non provocatemi. Mi piacerebbe non sentir parlare delle piccole mutevolezze, per amor vostro».
«Sfido Vostra Grazia» rispose Margaret, d’impeto, «a dimostrare la falsità di una nobile e ben nota dama». «Nemmeno Emilie de Lagny?» chiese il re.
Questo era un tasto dolente per la regina. Emilie era cresciuta nella sua stessa casa, era la più bella e la più virtuosa delle sue damigelle d’onore. Aveva amato molto il sire de Lagny, e le loro nozze erano state celebrate con gioia, ma senza il lieto fine. L’anno successivo de Lagny fu accusato di aver ceduto a tradimento all’imperatore una fortezza sotto il suo comando e fu condannato alla reclusione perpetua. Per qualche tempo Emilie sembrò inconsolabile, faceva spesso visita alla squallida prigione del marito, soffrendo al suo ritorno per aver assistito alla sua miseria, con parossismi di dolore che la mettevano in pericolo di vita. Improvvisamente, nel pieno della sofferenza, scomparve, e le indagini fecero trapelare solo il disonorevole fatto che era fuggita dalla Francia, portando con sé i suoi gioielli e in compagnia del suo paggio, Robinet Leroux. Si mormorava che, durante il loro viaggio, la dama e il giovane avessero spesso occupato una sola camera, e Margaret, infuriata per queste scoperte, ordinò che non si facessero ulteriori ricerche sulla sua prediletta smarrita. Così, schernita dal fratello, difese Emilie, dichiarando di ritenerla priva di colpe e arrivando persino a vantarsi che entro un mese avrebbe portato la prova della sua innocenza.
«Robinet era un bel ragazzo» disse Francis, sorridendo.
«Facciamo una scommessa» esclamò Margaret, «se perdo, porterò questa vostra vile filastrocca come epigrafe sulla mia tomba; se vinco…»
«Manderò in frantumi la finestra, e vi concederò qualsiasi cosa chiediate».
Le conseguenze di questa scommessa furono cantate a lungo da trovatori e menestrelli. La regina impiegò un centinaio di emissari, promise ricompense per qualsiasi informazione su Emilie: tutto invano. Il mese volgeva al termine e Margaret avrebbe dato molti brillanti gioielli per riscattare la sua parola. La vigilia del giorno fatidico, il carceriere della prigione in cui era rinchiuso il sire de Lagny chiese udienza alla regina; le portò un messaggio dal cavaliere per dirle che se Lady Margaret avesse chiesto la grazia per lui, e lo avesse fatto condurre davanti al fratello, avrebbe vinto la sua scommessa. La bella Margaret ne fu molto felice, e adempì volentieri alla richiesta. Francis non voleva vedere il suo falso servitore, ma era di ottimo umore, perché quel mattino un cavaliere aveva riportato la notizia di una vittoria sugli imperialisti. Lo stesso messaggero veniva lodato nei dispacci come il cavaliere più impavido e coraggioso di Francia. Il re lo riempì di doni, rimpiangendo solamente il fatto che un giuramento impediva al soldato di alzare la visiera o di dichiarare il suo nome.
Quella stessa sera, mentre il sole al tramonto splendeva sulla vetrata su cui era tracciata la filastrocca poco cortese, Francis stava riposando sullo stesso divano quando la bella regina di Navarra, con il trionfo nei suoi occhi luminosi, si sedette accanto a lui. Il prigioniero fu portato dentro, accompagnato dalle guardie: era indebolito dalle privazioni e barcollava. S’inginocchiò ai piedi di Francis e si scoprì il capo, così fuoriuscì una massa di meravigliosi capelli d’oro, che cadde sulle guance infossate e sulla fronte pallida del supplicante. «Abbiamo un inganno qui!» gridò il re, «signor carceriere, dov’è il vostro prigioniero?» «Sire, non incolpatelo» disse la voce dolce e tremante di Emilie, «uomini più assennati di lui sono stati ingannati dalla donna. Il mio caro signore non era colpevole del crimine per il quale ha sofferto. Non c’era che un modo per salvarlo: ho preso su di me le sue catene. Egli è scappato con il povero Robinet Leroux nei miei vestiti, e si è unito al vostro esercito: il giovane e valoroso cavaliere che ha consegnato i dispacci a Vostra Grazia, che avete sommerso di onori e doni, è il mio Enguerrard de Lagny. Ho solamente aspettato il suo arrivo con le testimonianze della sua innocenza, per annunciarmi alla mia signora, la regina. Non ha vinto la sua scommessa? E la sua richiesta è...»
«È il perdono di de Lagny» disse Margaret, inginocchiandosi anche lei davanti al re, «risparmiate il vostro fedele vassallo, sire, e premiate l’onestà di questa signora».
Francis per prima cosa ruppe la finestra menzognera, poi fece alzare le dame dalla loro posizione supplichevole.
Nel torneo indetto per celebrare questo «Trionfo delle dame», il sire de Lagny portò a casa ogni premio e sicuramente c’era più bellezza nella guancia infossata di Emilie - più bellezza nel suo corpo emaciato, marchi di vero affetto - che nel portamento più orgoglioso e nella carnagione più fresca della bellezza più sfolgorante che assisteva alla festa di corte.

1 «Lesa maestà», in francese nel testo originale (N.d.T.).
2 «Spesso le donne cambiano idea, stolto chi si fida!». In francese nel testo originale (N.d.T.).
3 «Spesso gli uomini cambiano idea, stolta chi si fida!». In francese nel testo originale (N.d.T.)