Tutto è fatto di racconto: cronaca da Book Pride 2019

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di Debora Lambruschini


A Book Pride, quest’anno, è sembrato che tutto, in fondo, sia fatto di racconto. Era da tempo infatti – probabilmente dall’edizione 2017 de La grande invasione di Ivrea – che a un festival letterario non mi capitava di trovare così tanti incontri dedicati al racconto, al punto da dover rimbalzare dall’uno all’altro tentando di seguire dibattiti, presentazioni, laboratori e provare a rispondere alla domanda “come sta il racconto?”. Non mi azzardo a dire quale sia lo stato di salute in generale del racconto contemporaneo, ma quel che posso dire è che a Book Pride si è avvertito un forte interesse per la forma breve, non soltanto tra gli addetti ai lavori, ma tra il pubblico di lettori che riempivano le sale, ascoltando interventi in cui si sono lanciati interessanti spunti di riflessione su scrittura, mercato editoriale, percezione del racconto. È stato un lungo weekend di racconti, di storie e scrittura, amici e colleghi da incontrare e tanti, tanti, lettori che hanno animato gli spazi della ex fabbrica del vapore di Milano, a Chinatown. Tra scrittori rockstar, novità editoriali e anteprime, scoperte e numerosi spunti di lettura e riflessione, questa edizione di Book Pride è stata senza dubbio ricca e interessante.
Soprattutto, per quel che ci riguarda, si è percepito forte l’interesse per il racconto da parte tanto di editori quanto di pubblico. La conferma arriva in occasione del lancio della nuova edizione del Premio Calvino, domenica 17, in una tavola rotonda dall’emblematico titolo “Come sta il racconto?”, durante la quale Mario Marchetti (presidente del premio) ha presentato l’importante novità di questa edizione: a partire da quest’anno, infatti, una sezione del premio sarà dedicata a racconti inediti, a tema “ogni desiderio”. Un’iniziativa di cui siamo particolarmente orgogliosi, alla quale infatti collaboreremo insieme a Book Pride e Salone Internazionale del libro di Torino e che denota, ancora una volta, il rinnovato interesse nei confronti della forma breve. Sono ancora molti i pregiudizi verso il racconto, ma uno dopo l’altro possono essere scardinati, grazie anche a iniziative come questa e, in generale, a occasioni di dialogo e confronto.

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È Luca Ricci, in questo caso, a fornirci un buon punto di partenza per affrontare la questione, rifiutando la convinzione – errata anche secondo me – che il racconto sarebbe la forma ideale proprio per questa nostra epoca della frammentazione, data la “rapidità” della fruizione: ma, sottolinea lo scrittore nel corso del suo intervento “Miseria e nobiltà del racconto”, nella brevitas di questa forma si cela tutta la sua complessità, perché richiede al lettore uno sforzo cognitivo superiore rispetto alla fruizione di un romanzo. Il paradosso è proprio questo: il racconto è una forma particolarmente complessa, eppure in età scolare si viene per lo più educati alla lettura di romanzi, si cresce erroneamente convinti che nella brevità stia la semplicità e che il racconto sia, di fatto, un gradino sotto forme più articolate. Pregiudizi contro cui anche noi di Cattedrale da sempre ci battiamo, cercando di indagare da più punti di vista una questione particolarmente complessa, che riguarda lettori, scrittori, ma anche la diffidenza di molti editori e le modalità di comunicazione di questa forma che, per sua identità, sono più complesse. Una modalità espressiva straordinaria, che richiede uno sforzo notevole allo scrittore quanto al lettore: «Un racconto deve essere perfetto e funzionare, altrimenti non è niente. Questa è una sfida incredibile per chi scrive», sottolinea ancora Ricci.
Fondamentale, inoltre, il connubio racconto-rivista: cartacea o digitale, la rivista svolge nuovamente un ruolo centrale nella pubblicazione e diffusione di racconti e, in certi casi, fungendo da ponte con gli editori, come emerso anche nell’incontro “Come sta il racconto?” cui hanno partecipato, tra gli altri, Emanuele Giammarco (Racconti edizioni) e Dario De Cristoforo (Flanerì/Effe). «Nessun argomento quando si parla di letteratura è così difficile come il discorso sul racconto», ironizza Giammarco, sottolineando inoltre quanto la forma breve sembri refrattaria all’aspetto ideologico e storico e, ancora, richieda uno sforzo al lettore, che sembra quasi partecipe del processo di scrittura del racconto, forse nel tentativo di colmare quegli spazi vuoti della narrazione che ne è l’essenza stessa. Il dialogo con Giammarco e De Cristoforo, inoltre, è l’occasione per riflettere su tendenze e caratteri del racconto italiano contemporaneo: il catalogo Racconti edizioni appare quindi fatto di identità miste, fratturate e, soffermandosi sugli scrittori di racconti toscani (a partire da Marco Marrucci, che a Book Pride ha presentato la propria raccolta “Ovunque sulla terra degli uomini”) si avverte una sottile influenza sudamericana in un certo modo di sentire e osservare la realtà; De Cristoforo, sottolineando il ruolo di “scouting” delle riviste, nota invece in generale una certa riduzione della trama, nell’ottica di una scrittura di riflessione, e una certa delusione di fondo, come un senso di sconfitta che molto spesso sfocia nella distopia. Quali che siano le tendenza della forma breve contemporanea, non possiamo fare a meno di concordare sul momento che ha segnato un importante punto di svolta: l’assegnazione del Nobel per la Letteratura ad Alice Munro, nel 2013, ha rappresentato senza dubbio un momento fondamentale nella percezione del racconto e nella sua collocazione all’interno del panorama editoriale, anche italiano.
Una fuoriclasse della short story citata come esempio di scrittura da cui farsi ispirare anche da Peter Cameron, il super ospite di questa edizione di Book Pride: non sono sicura fino a che punto le persone che si aggiravano per la sala assolata si rendessero conto di quanto straordinaria fosse l’occasione di ascoltare uno scrittore del calibro di Cameron in Italia per un brevissimo tour in occasione della recente uscita de “Gli inconvenienti della vita” (Adelphi), di certo io ne ero fin troppo consapevole e ho seguito ogni parola con ammirazione e quel misto di incredulità che da sempre mi accompagna quando mi ritrovo di fronte a un gigante della letteratura contemporanea, ma, ancora di più, alla grazia e umiltà con cui si racconta ai propri lettori.
Due racconti lunghi, per raccontare due coppie e le difficoltà del loro quotidiano:
 

«La cosa interessante, scrivendo questo libro, è che mi sembrava ci fosse una relazione emotiva fra queste due coppie di personaggi. Volevo che la loro tragedia venisse fuori attraverso la storia. La cosa che mi interessa di più è capire cosa accade dopo, come si ricostruisce la vita dopo la tragedia».

Peter Cameron, Federica Manzon

Peter Cameron, Federica Manzon

Se innamorarsi è facile, forse anche da raccontare magari nella forma romanzo, lo spunto più interessante è proprio esplorare come continua l’amore, come si continua a stare insieme ed è appunto questo il punto di osservazione scelto da Cameron nei due racconti de “Gli inconvenienti della vita”. Raccontare un quotidiano il quale, osserva Federica Manzon chiamata a dialogare con Cameron, non è popolato da personaggi malvagi o situazioni estreme ma che, a un certo punto, inizia a scricchiolare, ma sempre pervaso dalla grazia e dalla limpidezza che contraddistingue le sue storie. Il dialogo con Cameron è anche l’occasione per riflettere più in generale sulla scrittura, anche nell’ottica di una società in cui i leader sembrano ostentare la propria indifferenza verso la cultura, sorprendersi (!) per l’affluenza di pubblico riunito quel sabato pomeriggio ad ascoltare uno scrittore americano, interrogarsi sulle difficoltà di trasporre su grande schermo le sue storie. Fino a riflettere sul proprio ruolo di scrittore:

«Uno dei personaggi de “Gli inconvenienti della vita” è uno scrittore che ha perso l’ispirazione: io mi sento scrittore solo quando sto scrivendo, quindi la cosa tragica non è solo perdere l’ispirazione
ma anche la propria identità».

È un pensiero che mi ha accompagnata anche alla fine dell’incontro con Cameron e che si collega, in qualche modo, al discorso sul racconto, sul ruolo che ha il lettore di short story, sugli spazi vuoti da riempire.
Forse non ho trovato una risposta univoca ed esaustiva sullo stato di salute generale del racconto contemporaneo, ma, quel che è certo, ho avvertito un rinnovato interesse verso la forma breve da parte di tutte le figure di cui si compone il mercato editoriale, ho scoperto nuove storie, camminato altrettanto. Ci saranno sempre storie da raccontare e, fortunatamente, lettori pronti ad accoglierle.

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