Distanza ravvicinata: l'epica moderna di Annie Proulx

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È in libreria ‘Distanza ravvicinata’, il primo dei volumi che raccoglie i racconti di Annie Proulx, pubblicati da minimum fax.
In questa prima raccolta, valutata dalla critica come una delle vette della narrativa contemporanea, risalta già il delicato alternarsi di realismo e incanto, quieta disperazione e deflagrante poesia, del quale Annie Proulx ha saputo fare la propria cifra, e che ha nel magnifico «Brokeback Mountain», trasposto per il cinema da Ang Lee, un esempio insuperato.
Cattedrale pubblica la prefazione al libro, per gentile concessione dell’editore.


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di Alessandra Sarchi


Annie Proulx non ha mai tradito la propria vocazione a raccontare la vita americana che si svolge fuori dalle grandi aree urbane, e quindi fuori anche dai rituali letterari che in esse si celebrano: mondanità, circoli di scrittori e riconoscimento accademico, pur non essendole mancate tali occasioni. Biografia e credo estetico si intrecciano nella sua opera, e il tema del contatto con una natura indomabile e sfidante l’accompagna fin dai primi, acclamatissimi romanzi, Cartoline (1992) e Avviso ai naviganti (1993). Chi si accostasse ai tre volumi di racconti del Wyoming potrebbe farsi l’impressione che la scrittrice sia nata e cresciuta nello stato più selvaggio e meno popolato della confederazione statunitense, e che da lì abbia tratto il serbatoio di storie disperate, divertenti e commoventi per cui è nota, poiché del Wyoming ha una conoscenza storica, geologica, antropologica e affettiva così tenace da indurre una forma di identificazione assoluta.
Eppure Annie Proulx è nata nel civilizzato e urbanizzato Connecticut, a Norwich, e per quanto dichiari a ogni intervista di essere sempre stata una grande amante della vita outdoor (pesca, caccia, canoa, birdwatching sono fra le attività che ha praticato), al Wyoming dei cowboy derelitti e spavaldi, dei ranch solitari e decrepiti e dei paesaggi che tolgono il fiato è arrivata avanti negli anni, quando la sua carriera letteraria era già solidamente avviata e aveva conosciuto un primo culmine con il premio Pulitzer e il National Book Award vinti da Avviso ai naviganti. Le storie del Wyoming, di cui Distanza ravvicinata è il primo volume, furono inaugurate da alcuni racconti richiesti e finanziati dall’influente istituzione ecologica americana The Nature Conservancy, che diede l’occasione alla Proulx di cominciare a trascorrere periodi sempre più lunghi in quel territorio, fino a decidere di abitarvi. È dunque un percorso di scrittura e di fascinazione quello che porta la scrittrice a radicarsi in un ambiente così a fondo da diventare tutt’uno con la voce dei personaggi che lo popolano e del paesaggio, non meno protagonista delle sue storie di quanto lo siano umani e animali. Eppure, se c’è qualcosa da cui la scrittura di Annie Proulx si tiene lontana è il realismo inteso come modalità di racconto seria e mimetica; anzi, la radice ultima di un’adesione così riuscita e persuasiva sembra proprio legata al senso di una sfida continua alla realtà, una mitopoiesi che trasfigura senza posa i fatti e che l’autrice sintetizza nella magnifica frase messa in epigrafe alla raccolta, e attribuita a un allevatore in pensione: «La realtà non è mai stata un granché utile da queste parti». Ostinarsi a vivere in un luogo feroce è da sognatori, utopisti, disperati. I personaggi, gli animali e perfino le cose inanimate non rispondono mai nei racconti di Proulx a una logica di mera oggettività. Prendiamo ad esempio Mero, l’ottantenne testardo protagonista del racconto con cui si apre Distanza ravvicinata: scappato dal Wyoming sessant’anni prima, in cerca di fortuna ed emancipazione, vi fa ritorno a seguito della morte del fratello, appresa al telefono dalla moglie del nipote. Nel vecchio ranch di famiglia ora si allevano emù – è stato proprio un emù a causare la morte del fratello di Mero – e la principale fonte di guadagno sembra consistere nel portare turisti in giro, durante la bella stagione. Ce n’è abbastanza per far precipitare Mero in un viaggio attraverso quattro stati e una bufera di neve: nulla lo turba più dell’idea di non ritrovare identico il luogo da cui se ne era andato tanti anni prima. Non lo troverà, infatti, perdendosi in un’ostinata lotta fra sentieri innevati e carreggiate inaffidabili, che Mero crede di riconoscere, ma che si confondono come si confonde nella memoria il ricordo delle ragioni per cui aveva lasciato la propria famiglia: rivalità tra lui e il fratello, insofferenza verso il padre, rancher fallito divenuto postino, e la sua compagna, molto più giovane, che turbava la giovane virilità di Mero con racconti ammiccanti e bugiardi. Proprio da uno di questi racconti emerge la visione lunare e onirica che chiude il viaggio di Mero: un manzo scuoiato a metà, e miracolosamente risorto, che lo perseguita in un prato bianco di neve dove il vecchio si ritrova a vagare mezzo assiderato. Più persistente della realtà è dunque la sua narrazione deformante, il processo per cui ogni episodio assurge a dimensione epica e mitologica. Non è solo la memoria individuale a ritessere la trama dei fatti ingarbugliandola: il racconto collettivo – spesso fatto intorno a un focolare d’inverno o nell’afa estiva squarciata dai temporali, dentro bar che puzzano di sudore e whisky – trasforma in epica storie di fallimenti, imbrogli e sopraffazioni, passando di bocca in bocca o da una generazione all’altra, perché tutti i personaggi della Proulx raccontano per il bisogno di sentirsi meno soli e condividere il corpo a corpo che impegna ciascuno di loro con una terra inospitale ed estrema. Annie Proulx ha trovato nel Wyoming le condizioni ideali per la costruzione di un epos moderno: isolamento, ostilità dell’ambiente, trasmissione orale di una cultura legata a luoghi e persone di una comunità definita; con arte impareggiabile si è concentrata nel cogliere l’aspetto immaginifico nelle vite di persone che conoscono quasi solo stalle di bestiame, rodeo di tori e cavalli, solitudine domestica, devastazione del suolo e delle sue risorse. Anche le pietre, gli attrezzi, i vestiti, le albe e i tramonti si caricano nelle sue pagine di senso, di una vita propria. Perfino il vecchio trattore John Deer, dismesso e abbandonato in un campo, si mette a conversare con Ottaline, la protagonista di «Il confine erboso del mondo», fornendo alla giovane una versione ben diversa dei fatti relativi all’incidente occorso a un aiutante del padre e rivelando il vizio di bere e strafarsi di erba del padre stesso. Poco importa se si tratti delle allucinazioni di una ragazza troppo isolata e romantica: il dialogo fra il rottame di una macchina agricola e la goffa Ottaline consente al lettore di guardare a quel mondo di rozzi allevatori di mucche attraverso le sfumature del comico e del surreale. Nello stesso racconto troviamo anche una delle immagini più iconiche della morte come avvicendarsi di generazioni e stagioni, nella scena in cui Ottaline e il fidanzato tagliano di notte, sotto il riverbero della falce lunare, il frumento seminato dalla madre nel giorno del suo matrimonio, e da allora mai falciato. La Proulx è capace di passare nella stessa pagina dal registro descrittivo a quello lirico, come nel magnifico «Brokeback Mountain» che chiude la raccolta: l’amore inatteso di due giovani cowboy, durante un’estate passata con un gregge di pecore sulle montagne, diventa il sigillo che attraversa le loro vite da adulti, ordinarie e fallimentari. Il ricordo bruciante e fragile di un momento che sopravvivrà perfino alla morte di uno dei due, nella forma di due camicie sovrapposte l’una all’altra come due pelli di un solo corpo. Ogni cosa è animata, nella scrittura finissima e piena di sapiente dissimulazione di Annie Proulx.

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