I fantasmi e il metaverso di Jeanette Winterson


di Debora Lambruschini


Se la letteratura è lo specchio dei tempi, preoccupa ma non sorprende che in questi nostri tempi particolarmente bui il genere gotico viva una stagione ricchissima, tra riletture di classici e nuove esplorazioni di un universo letterario la cui influenza non si è mai davvero sopita ma che, casomai, si rinnova, rispondendo alle paure profonde dell’essere umano di ogni tempo. Nato negli ultimi anni del Settecento e a lungo considerato letteratura meramente popolare, forma di evasione che nulla aveva a che spartire con il novel che di lì a poco avrebbe consolidato la propria egemonia letteraria, il gotico si declina fin da principio in tipologie differenti ma, allo stesso tempo, gli elementi fondanti del genere sono ben distinguibili: l’ambientazione tetra, le scene notturne, il confine sempre più labile tra realtà e immaginazione, l’isolamento dei personaggi (da intendersi tanto come luoghi in cui si svolge l’azione quanto come emarginazione sociale), la presenza di elementi sovrannaturali, la suspence che attraversa la narrazione. Un genere estremamente popolare che influenza in modo profondo la storia letteraria tra Sette e Ottocento, dal vecchio continente fino al nuovo mondo e, mutate le ambientazioni, dismessi – ma non del tutto – i castelli diroccati, le giovani donne facilmente suggestionabili e corruttibili dal malvagio di turno, il gotico ha saputo rinnovarsi in forme nuove fino al nostro contemporaneo. Al di là della fascinazione e delle molteplici possibilità letterarie, la ragione ancora valida delle potenzialità del gotico e della sua popolarità è la stessa individuata da Todorov negli anni Novanta quando, all’accendersi finalmente dell’interesse della critica nei confronti di questo genere, per primo attribuiva al gotico una funzione psicanalitica, quale mezzo per esorcizzare le paure della società entro cui si sviluppava. Tesi che resta tuttora valida e confermata anche dalla produzione letteraria più recente, con la ripresa di istanze tipiche del genere e il tentativo di dare voce alle paure più profonde dell’uomo contemporaneo: il gotico, dunque, come genere letterario che si interroga sulla società in cui viviamo e dunque anche sulle possibilità della tecnologia, i limiti della scienza, il confine tra vita e morte. La progressiva secolarizzazione del mondo non cancella il mistero ma, al contrario, la realtà in cui siamo immersi genera semmai altri dubbi e problemi complessi e la letteratura – gotica – è il mezzo per porsi nuovi interrogativi. I discorsi su etica, fede, reale e sovrannaturale, si intrecciano dunque a riflessioni su intelligenza artificiale e metaverso, coscienza e spazio corporeo, terreno fertile anche per l’immaginario letterario.
È con una sezione denominata “dispositivi” e con tre racconti legati alla tecnologia che si apre l’interessante raccolta La riva notturna del fiume della scrittrice britannica Jeanette Winterson, tradotta da Chiara Spallina Rocca per Mondadori, e che comprende tredici storie gotiche legate, in modi diversi, al soprannaturale, alcune, le più salde, connesse alla tradizione, altre alle derive del mondo contemporaneo.
Il volume di Winterson si inserisce in un solco di opere contemporanee che, come raccolte di racconti, comprendono, per esempio, Gotico londinese di Nicholas Royle uscito per 8tto edizioni un paio di anni fa, le storie perturbanti di Mariana Enriquez, ma anche il più recente Qualcosa là fuori curata da Jordan Peele e John Joseph Adams e appena uscita per Sellerio – qui la virata è più nettamente verso l’horror, ma non mancano punti di contatto. I racconti di Winterson riprendono le istanze più caratteristiche del gotico e si muovono nel mondo contemporaneo per indagarne le ambiguità, le problematiche, legando alla narrazione di genere con tutte le sue peculiarità evidenti tematiche e spunti interessanti, riprendendo archetipi per fondere insieme tangibile e intangibile.
I tredici racconti della raccolta sono, si accennava, divisi in sezioni: dispositivi, luoghi, persone, visitazioni, tutti narrati in prima persona con un punto di vista interno – e inaffidabile – alla storia, creando una connessione diretta profonda con il lettore e la sua più intima partecipazione alla vicenda. Punto di vista che si sposta tra personaggi diversi per genere, età, condizione, una voce autoriale sempre salda e riconoscibile e una narrazione che attraverso la parola crea l’atmosfera, il mistero, l’ambiguità appunto per mezzo di una lingua ricercata, letteraria a tratti, la costruzione di un sistema di immagini funzionale.
La maggior parte delle storie di questa raccolta sono autonome l’una dall’altra e a tenere insieme l’opera il genere di appartenenza e l’idea di fondo: che mondo tangibile e mondo intangibile non siano realtà parallele ma più vicine e capaci di influenzarsi:

 

Per noi, il mondo invisibile non è parallelo al mondo visibile, non scorre al suo fianco o nelle sue vicinanze. Non sta di sopra, né di sotto. Altri mondi, altre entità, attraversano il nostro mondo, pullulano al suo interno, lo inceneriscono, lo piegano, lo alterano con la loro presenza.

 

Ecco, dunque, che il manifestarsi del soprannaturale può avvenire anche in luoghi ordinari, tra le stanze di una casa di città, in quel metaverso dove riscrivere la propria storia e abbandonare la materialità del corpo, nelle case che abitiamo, non sempre immediatamente riconoscibile come tale. Nel racconto eponimo l’idea di altri mondi che «attraversano il nostro mondo» si lega all’elemento naturale, all’acqua, tanto nella metafora quanto nella lingua:

 

Credevo che il mondo fosse una distesa di terraferma dai confini definiti. Credevo che la vita e la morte fossero due stati separati. Ora so che tutto è liquido, poroso, tutt’altro che solido.

 

Il volume di Winterson è interessante anche per la sua stessa struttura: in apertura una breve efficace introduzione attraverso cui l’autrice ripercorre velocemente le tappe più salienti del genere gotico dalle origini alla contemporaneità e che suggerisce l’universo letterario e le influenze su cui tale raccolta si fonda, oltre a fornire al lettore una prima mappa con cui orientarsi in queste storie, la malleabilità della materia, il legame con il contemporaneo, i timori e le questioni con le quali siamo chiamati a confrontarci, i sentimenti  e le paure che trascendono il tempo e lo spazio; ogni sezione è chiusa da una nota autobiografica, un racconto nel racconto, dove l’autrice riporta le sue esperienze con il soprannaturale, sezione che, francamente, sarebbe stato meglio evitare: immergersi in una narrazione significa come lettori siglare quel famoso patto di sospensione dell’incredulità in un tacito accordo con l’autore e, dunque, accettarne l’universo immaginifico; le sezioni autobiografiche e qui e là pure nella narrazione la domanda che si rincorre – e tu credi nei fantasmi? – rompe quel patto e in certa misura infrange il potere letterario dell’opera stessa.   
Il punto non è tanto chiederci se è vero oppure no, se crediamo o meno al soprannaturale, ma quanto la letteratura sia capace di spingerci oltre certe fragili certezze, farci osservare da un’angolazione diversa il mondo in cui siamo immersi, preferire il dubbio alle risposte semplicistiche. E, ancora, quanto la parola abbia la capacità di creare mondi, ammaliare, produrre un effetto sul lettore. Quelle di Winterson sono scelte con attenzione, riprendono i dettami del genere tentando di liberarlo da stereotipi e allo stesso tempo rifacendosi a un sistema consolidato di atmosfere, ambiguità sottili, non detto.
La traduzione di Chiara Spallina Rocca aderisce alla voce di Winterson, ne segue la musicalità, le ombre, l’indefinito – casomai un appunto all’editore per qualche refuso rimasto sulla pagina.
Nell’intreccio di elementi gotici tradizionali e tematiche contemporanee, attraverso il filtro del soprannaturale, ci interroghiamo su dolore, perdita, colpa e violenza. Lo sguardo dell’autrice indugia sulle relazioni, a partire dal racconto d’apertura, “App-arizioni” in cui al tema del lutto si lega la riflessione sulla violenza domestica, la manipolazione, le derive della tecnologia, in una tensione crescente fino all’inattesa svolta finale. All’indomani della scomparsa del marito, una donna pare essere perseguitata da quel che resta di lui e confluito in un’app che in un certo modo lo mantiene in vita, capace di interferire con la vita della moglie, controllarla, trovare nuovi modi per farle del male.

 

Quella notte non succede niente. Fatico a chiudere occhio, come mi succedeva quando lui rimaneva fuori fino a tardi e mi domandavo cosa avrebbe fatto, cosa mi avrebbe fatto, al suo ritorno. Il clic della porta d’ingresso che si chiudeva. Il rumore dei suoi passi. Com’è possibile che tanta paura si annidi in un passo?

 

La prospettiva interna, la narrazione in prima persona, funzionano perfettamente nelle storie e in questa in particolare, calando il lettore al centro della paura e avvicinandolo alla visione della protagonista della quale percepiamo i sensi all’erta, lo spettro dei sentimenti dalla paura allo sgomento fino, appunto, all’inatteso finale. L’io narrante ci cala al cuore delle storie ma è, per sua natura, inaffidabile e anche per questo particolarmente interessante e funzionale nell’ambito del gotico e di questi racconti. In “La pelliccia” e “Gli stivali”, ma anche in “Una storia di fantasmi senza fantasma” e “Il paese inesplorato”, l’io permette di osservare i fatti da due punti di vista differenti, ora di un personaggio della storia ora dell’altro, e confrontarsi con la malleabilità del reale, lo sguardo soggettivo sulle cose e, non da ultimo, le dinamiche delle relazioni. Nei primi due racconti, attraverso ora la voce della donna ora di quella dell’uomo, osserviamo una coppia percorrere sentieri sempre più oscuri, influenzati da una presenza malvagia rimasta a infestare la tenuta di campagna dove vivono per qualche tempo. Il male ha impregnato ogni cosa, un’antica storia di violenza e orrore indicibile aleggia in quelle stanze e si insinua tra loro, generando sospetto, gelosia, risvegliando una ferocia animale che forse era soltanto latente. Le ombre, pare suggerire l’autrice, fanno parte dell’essere umano, il loro manifestarsi fa leva su sentimenti latenti ma non del tutto estranei. È solo un altro modo di guardare le cose, è la verità a cui scegliamo di credere.

Cenavano a lume di candela: voleva essere una cosa romantica, ma le ombre sedevano a tavola con loro e due candele non bastavano a illuminare i piatti. Nel buio sembravano diversi, così, a poco a poco, diventarono diversi.

 

L’oscurità dentro il cuore degli uomini immaginata da Shirley Jackson nel suo mondo senza fantasmi – e forse per questo ancora più spaventosa – riecheggia nelle storie di Winterson che, pur intrecciandosi al soprannaturale spingono a chiedersi quanto della violenza sia influenzata dal mondo non tangibile o quanta, invece, sia già parte di questi uomini e queste donne, con le loro relazioni imperfette, violente, gli inganni, i desideri reconditi. Tra Shirley Jackson e Amparo Dàvila, i racconti di Winterson si avvicinano alle atmosfere perturbanti di Mariana Enriquez, ma ben salda la tradizione da cui derivano le sue ghost stories, quel gotico della tradizione che rivive pienamente in alcune storie di antiche dimore in rovina, scricchiolii notturni, morti violente, apparizioni.
Ecco, un altro elemento che mi pare interessante è la rappresentazione del tempo e la sua concezione:

 

Ancora oggi, se guardate attentamente, scoprirete che il passato si è accumulato in strati di tempo, sedimentandosi e comprimendosi, e tra quelli strati si annidano avvallamenti e gallerie dove quel che c’era prima non è del tutto scomparso, anzi, mantiene ancora la sua forma.

 

Se il mondo intangibile non è parallelo a quello tangibile ma «tutto è liquido, poroso», per certi versi lo è anche il tempo. Una porta che conduce a una vecchia stanza nell’ala non ristrutturata di un albergo di montagna dove alloggia, senza trovare pace, un esploratore del secolo scorso e dentro alla quale il tempo, tanto cronologico quanto atmosferico, si dilata, avvolge ogni cosa e persona al suo interno perdendo sempre più il contatto con lo scorrere regolare. È una finestra sul passato, ma un passato che è anche presente, confini labili e mutevoli. È quello che accade anche in un appartamento nel cuore di Londra, nella stanza per gli ospiti della casa affittata da una donna all’indomani del divorzio, dove un’antica presenza si fa sempre più concreta e svela la sua storia di tormento, infelicità, perdita.
C’è tutto l’armamentario del gotico che si rispetti in questi racconti: stanze segrete, apparizioni, paure notturne, donne imprigionate vittime della brutalità maschile, interferenze elettriche, la sensazione di mani gelide che si posano sulla nuca, la nebbia che sale nei boschi. Ma ci sono anche donne sole e ordinarie che attraversano un confine senza accorgersene, uomini in lutto per la perdita del compagno che non sanno più come fare a vivere e camminano in un limbo o, ancora, un sentimento a tenere in bilico tra la realtà e «il paese inesplorato». È proprio in questi aspetti, è proprio quando Winterson posa lo sguardo sull’intimità dei personaggi che la raccolta La riva notturna del fiume si inserisce perfettamente nella bibliografia dell’autrice, la postura autoriale simile a narrazioni autobiografiche come Perché essere felice se puoi essere normale?, l’ironia e l’io sfuggente di Scritto sul corpo.  
Forse il mondo che conosciamo non è «una distesa di terraferma dai confini definiti», forse è qualcosa di molto più complesso, inspiegabile con il filtro della ragione; forse, antiche credenze, timori e superstizioni devono fare i conti con le complicazioni derivanti dalla tecnologia e il confine tra ciò che è reale, tangibile, corporeo e ciò che non lo è trova nel metaverso il suo ultimo mistero.
E di sicuro, il gotico, non ha ancora esaurito la sua influenza nella conoscenza del mondo.