TITOLO: Qualcosa là fuori
Autore: AA.VV
Editore: Sellerio
Traduzione: Luca Briasco Curatela: Jordan Peele, John Joseph Adams
PP. 528 Euro 19,00
di Fabrizia Gagliardi
Cosa succede al genere horror? Qualcuno direbbe niente, cosa c’è oltre i jump scare e i Final Destination? Altri probabilmente noteranno che non c’è niente di più attuale dell’abitudine all’orrore: la vista dell’inimmaginabile è sotto gli occhi di tutti, in un marasma di inazione e impotenza collettiva.
Il clima che stiamo vivendo echeggia le paure primordiali, quelle della notte e dell’oblio, dove accade qualcosa, ci sentiamo soffocare, la realtà che ci circonda accetta un modo di vedere che ci opprime e ci offusca con le sue storture.
C’è un punto nell’introduzione di Jordan Peele che apre Qualcosa là fuori. Un’antologia New Black Horror (traduzione di Luca Briasco, Sellerio, 2025), in cui il regista scrive:
«L’horror è una catarsi attraverso l’intrattenimento. È un modo per elaborare il nostro dolore e le nostre paure più profonde».
Diciannove racconti, diciannove discese negli incubi dell’America contemporanea che funzionano a metà tra visioni distopiche e reale in atto: il razzismo, la violenza sistemica, la perdita, la memoria di un passato coloniale che continua a vivere nelle vene del presente.
Lo stesso Jordan Peele è la voce cinematografica che ha dato vita a Scappa - Get Out (2017), grazie al quale è diventato il primo uomo nero a vincere il premio Oscar come migliore sceneggiatura originale; Noi (2019) e Nope (2022), storie originali che condividono il tema dell’emarginazione e della discriminazione, lette attraverso la lente del genere horror.
La raccolta, curata da Peele e John Joseph Adams, ha vinto il Bram Stoker Award e del British Fantasy Award e raccoglie le voci più potenti della nuova narrativa afroamericana del terrore. Tananarive Due, P. Djèlí Clark, N.K. Jemisin, Rebecca Roanhorse, Nnedi Okorafor, Tochi Onyebuchi, solo per citarne alcune, sono autori che provengono da territori diversi — fantascienza, fantasy, realismo magico — ma che qui trovano un punto d’incontro nel rinnovare l’horror come strumento politico, sociale e spirituale.
Lungi dal ripetere formule classiche, Qualcosa là fuori si muove su più piani: dalle distopie tecnologiche alle favole metafisiche, dagli incubi urbani ai rituali ancestrali. In ciascuna storia si respira un’inquietudine diversa, perché nasce da un modo diverso di percepire la paura: non l’ignoto come mostro, bensì il noto come minaccia quotidiana.
Uno dei testi più forti, Occhi che fissano di N.K. Jemisin, è un racconto feroce e visionario su un poliziotto ossessionato dagli occhi che lo guardano — occhi che emergono dai fari delle auto, dagli specchietti, dalle ombre. È una parabola disturbante sulla brutalità istituzionale e sulla paranoia del potere, un incubo che dà corpo alla violenza razzista trasformandola in maledizione. Jemisin trasforma la brutalità razzista in una possessione letterale, come se la coscienza collettiva avesse deciso di punire i suoi carnefici.
Diverso il tono de La casa buia di Nnedi Okorafor, in cui una giovane donna nigeriana in America viene perseguitata dal fantasma del padre. È un racconto sul lutto e sull’appartenenza, ma anche sulla frattura postcoloniale: quando la modernità occidentale pretende di seppellire la magia, questa ritorna a chiedere giustizia.
Il passeggero di Tananarive Due ci riporta nell’America del 1964, durante il Freedom Summer, quando due sorelle partecipano ai viaggi dei Freedom Riders per i diritti civili nel Sud segregazionista. Il bus su cui viaggiano viene fermato nel nulla da una misteriosa presenza, ma il vero orrore, suggerisce Due, non è il mostro sulla strada: è l’odio umano, l’America bianca che perseguita i corpi neri. È un racconto storico, politico e soprannaturale insieme, in cui la paura diventa resistenza e memoria.
Ogni storia, in fondo, parla di sopravvivenza: di chi lotta contro mostri che non si vedono, ma che abitano i corpi, le istituzioni, i sogni. C’è l’eco di un’America che non ha ancora imparato a dormire senza incubi.
Qualcosa là fuori è un tassello che si incastra perfettamente nel panorama horror del 2025. Dopo l’ondata “metafisica” del cinema di Ari Aster (Beau ha paura, 2023), il ritorno ai classici come Nosferatu (2024) di Robert Eggers e Frankenstein (2025) di Guillermo del Toro, e le sfumature kinghiane di Weapons (2025), il genere accoglie nuova linfa vitale.
L’orrore diventa la lingua del trauma: uno spazio simbolico dove la paura serve a metabolizzare ciò che la società non riesce a dire a voce alta.
Peele lo sa bene: con questa antologia, traghetta il suo cinema verso la letteratura, costruendo un ponte fra visione e parola. E lo fa con un gesto corale, dando spazio a voci che non chiedono più di “entrare” nel canone, ma di riscriverlo da dentro.
Nel 2025, quando l’horror diventa sempre più un laboratorio di coscienza civile, Qualcosa là fuori dimostra che il brivido più autentico non nasce dal sangue o dagli spettri, ma dal riconoscimento: da quando, nel volto del mostro, vediamo riflesso il nostro. Non c’è niente che vuole spaventarci, ma tutto vuole costringerci a restare svegli.
