La benevolenza, di Gerardo Spirito



Effequ porta in libreria Pastorale mediterranea. Fabulario delle erbe amare, di Gerardo Spirito. Un immaginario sacro e fantastico in cui riecheggia il Cunto de li Cunti, attraverso transumanze, riti funebri, apparizioni e fondazioni, scopriamo le storie di questo fabulario, che affondano nella memoria della terra sannita e risuonano nei corpi, nei gesti, nelle migrazioni dei popoli del Sud.


Cattedrale vi propone un estratto del testo, per gentile concessione dell’Editore



La benevolenza
di Gerardo Spirito



I

Si fermano e si accampano in riva a un fiume. Il padre dissella i muli, li impastoia, li sfama. Il figlio scarica il carro e si allontana a raccogliere rami e foglie secche, poi torna, li ammucchia per terra e accende un fuoco. Si siedono intorno, mangiano focacce di segale e lenticchie. Bevono vino speziato. Poi il figlio recita il Credo e l’Avemaria e il padre racconta la storia di un santo romita che abitava in una grotta montana e parlava con lupi tassi e pettirossi. Dormono all’addiaccio alla luce delle stelle. Si risvegliano nel buio che precede l’alba. Danno da bere e da mangiare ai muli, riordinano il carro, ripartono sul tratturo magno. L’aurora traccia a est una linea insanguinata. Cippi di confine. Campi spietrati o a maggese. Attraversano un valico, crocicchi e sentieri che diramano verso ruderi e pascoli collinari, polloni di ruta e santoreggia. A mezzogiorno il cielo si copre di nuvole scure. Il vento soffia e porta dai boschi odore di biancospino e falasco. Lungo la pista incontrano un uomo. Dice di chiamarsi Canio. Tra i capelli pidocchi e fili d’erba secca. Gli occhi cisposi. Gli abiti raccogliticci. Gli offrono del pane azzimo e qualche oliva, del latte di capra. Canio li ringrazia con un inchino e dice: Che Dio misericordioso vi protegga e vi benedica. Il padre sorride e domanda: Dove siete diretto? Canio fa un sorso di latte e risponde: A casa; torno da mia madre e da mia sorella, sono stato fuori per lungo tempo. Dove siete stato? Di qua e di là; ho lavorato in un pascolo montano, nella bottega di un fabbro, in una carbonaia. Il padre domanda: Casa vostra è lontana? Canio indica con un braccio un punto vago a sud: Vengo dalla costa, cinque o sei giorni di cammino, un villaggio di pescatori; sono cresciuto lungo le sponde del Tirreno, un posto dove non fa mai freddo. Il padre annuisce. Canio fa un altro sorso di latte e poi si asciuga le labbra col dorso della mano: Come vi chiamate? Io sono Giuseppe, risponde il padre, Lui è mio figlio Giovanni. Giovanni non si muove, ascolta. Canio dice: Avete gli stessi occhi. Giuseppe lo ringrazia. Canio addenta un pezzo di pane, mastica, ingoia, poi scruta il carro e il telone che lo copre: Siete anche voi in viaggio? Sì, risponde Giuseppe. Poi, dopo un silenzio aggiunge: Siamo calderai. Calderai? Giuseppe annuisce: Vendiamo e ripariamo pentole e vecchie stufe, secchi di stagno di rame o di zinco; ci spostiamo da un paese all’altro. Siete ambulanti? Proprio così, dice Giuseppe, e fa cenno al telo che copre il carro: Abbiamo anche coperte, scarpe di stoffa, cerini, pietre focaie, vino e acquavite e breviari e opuscoli, e stampe in cavo o ad acquaforte; vi può servire qualcosa? Canio fa di no con il capo: Vi ringrazio, non ho bisogno di niente, porto l’essenziale. Capisco. E voi da dove venite? Giuseppe risponde: Dalle montagne; un paese di cavatori e taglialegna, un posto dove fa sempre freddo. Il freddo su questi monti è un tormento. Avete ragione. Canio fissa il cielo basso, poi di nuovo Giuseppe, e dice: Ho timore che pioverà, è meglio che vada. Giuseppe annuisce: Fate buon viaggio. Anche voi.


II


Inizia a piovere. Trovano riparo in una grotta calcarea sul fianco di una collina. Accendono un fuoco e aspettano che la pioggia passi. Ma la pioggia non passa. Si succedono lampi e tuoni. Pioggia fitta e obliqua. Cala il buio. Nella grotta il fuoco arde e il fumo stagna. I muli sono irrequieti. Giuseppe li nutre e li calma. Giovanni scuote le braci. Mangiano alla luce del fuoco strisce di carne essiccata. Bevono acquavite granulosa. Poi si mettono a pregare. Pregano a bisbigli. Poi smettono di pregare e parlano della pioggia, delle provviste, dei muli irrequieti, del Diluvio raccontato nelle Scritture. Poi Giuseppe dice a Giovanni: Addormentati, hai gli occhi stanchi. Giovanni si sdraia avvolto nella coperta e si addormenta. Giuseppe veglia il fuoco e i muli. Fuori il temporale infuria, illumina a giorno la notte. Alla prima luce del giorno Giuseppe esce dalla grotta. Aria umida. Nuvole lontane. Rientra nella grotta, scuote il figlio e dice: Il temporale è passato. Alzati e preparati. Ritornano sul tratturo. Avanzano e avanzano senza parlare e dopo un po’ tagliano per un campo di asparagi. Il cielo è limpido. Il sole bianco e accecante. Raggiungono una casa isolata ai confini di un bosco di tassi. Fermano il carro. Giuseppe dà una voce. Nessuno risponde. Chiama ancora. Da una finestra appare il viso raggrinzito di un vecchio; li guarda, sputa di lato. Giuseppe dice: Siamo calderai, ripariamo pentole e ferraglie e vendiamo breviari per le preghiere o coperte di lana per l’arrivo dell’inverno. Il vecchio non parla. Giuseppe insiste: Sarà un inverno lungo e molto freddo, queste coperte sono calde come stufe, vi terranno lontani dai malanni. Il vecchio grida: Non ci serve niente. Giuseppe esita, uno dei muli raglia e recalcitra. Il vecchio grida ancora: Portate via dal mio terreno quel carro e quelle bestie. Ripartono. Intorno, alture aspre e desolate. Coltivi di legumi, tartufi ed erbaggi. Un bastardino ossuto spunta da un solco usmando l’aria con affanno. I muli si fermano ragliando. Giuseppe getta un grido contro il cane e uno schiocco di lingua verso i muli. Il cane si accascia a bordo traccia e fissa in silenzio il carro passare. Incontrano un cantore. Barattano con lui una coperta per una fiasca vuota di pelle di pecora. Il cantore salmodia una canzone sulla misericordia, Giuseppe racconta una parabola su bufere e pescatori. Poi si salutano. Poco più avanti incontrano una fila di monaci scalzi dalle facce arrossate dal freddo. Offrono loro pane e latte. I monaci rifiutano intransigenti e li benedicono e benedicono il carro e i muli con gesti di croce. Prima di ripartire Giuseppe chiede: Quanto dista il paese più vicino? Un giovane monaco tonsurato risponde: Mezza giornata di cammino. Si salutano, ripartono. Non incontrano nessuno fino al paese.