Storie di fame, di Daniel Orozco

Racconti Edizioni porta in libreria Orientamento, di Daniel Orozco. A 150 anni da Bartleby, Orientamento , tradotto da Emanuele Giammarco, ritraduce la tradizione realista americana ossigenandone da capo le ferite. Scrivanie, sale relax, macchinette del caffè, ma anche spogliatoi, mense, supermercati: è la realtà che conosciamo e che ci circonda, che fa da scenario alle nostre routine, offrendo respiro e battito alle nostre vite.
Con uno stile inimitabile che sembra piegare l’asciuttezza carveriana alle esigenze kafkiane di Barthelme, che non ha paura di abbracciare e rivoltare i gerghi tecnici, che strizza l’occhio a Fantozzi per carica ironica senza mai perdere il desiderio di serpeggiare in aria come un fuoco d’artificio, Daniel Orozco ci offre uno dei mondi più verosimili che potrete mai leggere.

Cattedrale vi propone l’estratto dal brano Storie di fame, per gentile concessione dell’editore.

Storie di fame

 

Così essi mangiarono, furono saziati e Dio
mandò loro quel che avevano desiderato

Salmi, 78, 29

 

I

 

A fare la spesa ci andava tre volte a settimana, dopo il corso di aerobica, facendo tappa a un minimarket che rimaneva di strada dal centro benessere verso casa. Era un posticino a conduzione familiare con un parquet disastrato e due sole casse per pagare, male illuminato e angusto e molto in voga fra i professionisti. Sui suoi scaffali c’erano birre artigianali e barrette energetiche e rucola, a parte tutti i generi di prima necessità. Così quando aveva bisogno di pane, banane, carote, latte, ricotta – le solite cose – si fermava in zona.
Quando però sentiva di meritarsi una qualche leccornia, allora una sortita speciale – una capatina da biscotti – era d’obbligo. Per quelle preferiva andare nei supermercati più grandi che riusciva a scovare, posti che assumevano tanti commessi, che si alternavano tanto di frequente, che nessuno l’avrebbe mai riconosciuta come cliente fissa. Andava sempre la sera tardi, quando c’era meno ressa. E le piaceva gironzolare, visualizzare la corsia dei biscotti senza smettere di svoltare su e giù per tutte le altre corsie, da una parte all’altra del negozio. Ai banconi non si attardava mai. Pane, Gastronomia, Frutta e Verdura, Banco del pesce, Macelleria: quei reparti non solleticavano minimamente il suo interesse. Piuttosto erano le corsie ad attirarla, e in special modo l’effetto particolare che le faceva sfilarci dentro: a ogni svolta che prendeva, davanti agli occhi le si schiudeva una galleria di prodotti, una congestione visiva che le saturava la vista, facendole accapponare la pelle e contorcere e arricciare le budella, in una specie di tremito pre-biscotto che non smetteva mai di eccitarla in modo destabilizzante ed erotico. I biscotti stessi si sarebbero volatilizzati quindici minuti dopo l’arrivo a casa – anche prima, se apriva il pacco in auto e cominciava a sgranocchiarli alla guida. Dopodiché si spaparanzava intontita sul divano davanti alla tv, il livello di zuccheri in caduta libera, l’euforia che scemava, sentendosi sola e gonfia e in colpa, finché non si assopiva e arrendeva al sonno.
Una notte si avventurò fino al posto che preferiva in assoluto, un megastore aperto ventiquattro ore che avevano inaugurato da poco dentro un centro commerciale vicino l’aeroporto. Era il negozio di punta di una catena regionale: aveva ventisei corsie, una caffetteria e una farmacia aperta tutta la notte, il videonoleggio, e pure un salottino con i divani e l’abat-jour e un caminetto acceso con i ciocchi finti. Arraffò un cestino appena varcato l’ingresso a porte scorrevoli, bordeggiò il salottino, e si diresse verso la corsia 1a. Per i suoi standard queste serate potevano durare parecchio. Poteva bighellonare per ore, gongolando non soltanto per la quantità di prodotti, ma per la loro varietà in continua espansione: c’erano gelati con sopra pretzel ricoperti di cioccolato o tocchetti di brownie caramellato o granelli di vere bacche di vaniglia, e quelli fatti con le fragole biologiche o la crema kosher o le noccioline non coltivate nella foresta pluviale; c’erano i triangolini di tortillas bianchi, gialli, blu e rossi, e le pennette colorate integrali, asparagi, seppia e pomodoro; c’erano i cereali per la colazione a forma di arachidi, lamponi, ciambelline e girelle, a forma di waffle, di piccoli toast; c’erano quindici tipi diversi di condimento per la pasta, dieci gusti di gallette di riso, e una dozzina di acque toniche aromatizzate; c’erano otto varietà diverse per una cosa banale come la mostarda. Si sentiva immersa nell’abbondanza, e librava come un’innamorata ubriaca d’aspettative, lasciando cadere distrattamente ogni cosa nel cestino della spesa: zucchero di canna dalla corsia 2a, un barattolo di pesche sciroppate dalla 7b, una busta d’uvetta dalla 9b. A fine corsa riponeva sui rispettivi scaffali la maggior parte dei prodotti scelti, conservandone uno o due particolarmente sani per controbilanciare i biscotti. Da soli i biscotti non li comprava mai. Nessuno, sentiva in cuor suo, aveva bisogno di sapere così tanto su di lei.
Quella notte però, qualcosa non quadrava. Nonostante fosse mezzanotte passata, il supermercato era strapieno. Per passare bisognava incunearsi fra i carrelli in doppia fila, aggirare assembramenti di clienti troppo loquaci che impedivano il passaggio. Altri girovaghi notturni avevano cominciato a ciondolare ai margini del suo stesso girovagare notturno. Le si affiancavano, compulsando gli stessi scaffali che compulsava lei, le mani che si allungavano sul vasetto di marmellata accanto al vasetto di marmellata su cui aveva appena posato le mani. Un tizio le si era accodato per tutta la corsia dei cereali – inavvertitamente, ne era sicura – ma con sufficiente caparbietà da costringerla a procedere oltre. E peggio ancora, c’erano commessi dappertutto. Sgattaiolavano in ogni direzione con quei papillon già annodati con la clip e i loro grembiuli blu inamidati e appuntati di cartellino, rifornendo svelti gli scaffali, dislocando pallet ad altezza uomo con sopra prodotti nuovi ancora impacchettati e portandosi appresso i loro taglierini con un contegno da intagliatori di sushi. Non la smettevano di chiederle se aveva bisogno di rintracciare qualcosa, e lei continuava a ripetere «No, grazie». Le mettevano una fretta tale, e lei si sentiva talmente stizzita, frustrata, per aver perso il ritmo della serata, che abbreviò il suo solito giro. Saltò le corsie dalla 12 alla 21 e si avviò direttamente alla 22b, il centro del bersaglio verso cui puntava il girandolio del proprio desiderio – Biscotti e Crackers. Una volta lì, non si discostava mai dalle proprie abitudini – erano sempre o gli Sgranocchioni Olé della Nabisco o gli Ultra Cioccolatosi Deluxe della Keebler. Eppure le piaceva rimuginarci sopra, per gustarsi la finzione di dover decidere fra un biscotto o l’altro nella panoplia che aveva davanti agli occhi: Chi di voialtri mi porterò a casa stasera?
Anche qui però trovò degli ostacoli. C’erano altre persone in corsia – una coppia, un uomo e una donna, che non soltanto sostavano davanti agli scaffali dei biscotti, ma si erano piantati proprio di fronte alla sezione dei Nabisco e dei Keebler. Lei si fermò qualche metro prima e fece finta di dare una scorsa agli scaffali dei crackers, in attesa che se ne andassero. Entrambi portavano i capelli alle spalle e indossavano trench neri, che li rendevano più slanciati e snelli. Erano giovani – sui venticinque, a occhio – e molto attraenti. Se ne stavano lì, le mani incassate nelle tasche del cappotto, a parlare con trasporto senza scollarsi dal posto. Decise di tornare ai Formaggi e scambiò i suoi fiocchi di latte al due per cento con una confezione all’uno per cento, poi alla corsia 6a per rimettere a posto le pesche pre-sbucciate. Tornò indietro alla 22b. I due erano ancora lì, esattamente nello stesso punto, orgogliosamente sciancati e pigolanti in quella posa sfrontata e seducente che tengono le coppie in pubblico, solleticando la nostra esclusione dalla loro intimità. Guardate quanto ci ascoltiamo, noi, sembravano far trasparire. Guardate quanto le cose che noi condividiamo rimangono fuori dalla vostra portata.
Li sorpassò impettita e si diresse alla corsia adiacente, Pasta e Cereali. Si piazzò davanti agli scaffali, scorrendo le mani alla cieca sulle confezioni. Sentì la voce di lui che si alzava di tono, e la risata di lei. Ma che diavolo c’era da ridere a quel modo? Si mise ad ascoltarne il tono basso e ovattato, il mormorio di quelle voci languide e melodiche. Ci furono altre risate, e poi finalmente – finalmente! – li sentì allontanarsi. Li tallonò di pari passo, in parallelo al loro lento avanzare fuori dalla corsia, quando all’improvviso uno dei commessi in grembiule blu le apparve di fronte, alto, fanciullesco, scavato e con un sorriso enorme e una stempiatura incipiente e un cartellino che recitava: BRAD sarà felice di servirti! Le chiese se poteva esserle d’aiuto a rintracciare qualcosa. «No!» sbottò lei, scansandolo in fretta ma solo per incappare nella coppia della corsia dei biscotti. Bofonchiò delle scuse aprendosi un varco fra loro, e svoltò nella corsia 22b.
Era libera, finalmente. «Eccoci» si disse, una volta raggiunto lo scaffale dei biscotti. E si era messa lì di fronte da giusto due secondi – a malapena era riuscita a vederli tutti, a sistemarsi col corpo di modo che riempissero al massimo la sua visione periferica –, era appena arrivata allo scaffale dei biscotti, quando una donna che passava all’altro capo della corsia si voltò per guardarla. Anche lei indossava scarpe da corsa e leggings e una felpona morbida. I capelli li aveva scuri e tirati all’indietro in una coda di cavallo che le metteva in risalto un viso incontaminato. Lo sguardo della ragazza si rivolse pigramente su di lei, poi ai biscotti su cui aveva già posato lo sguardo, e su di lei una volta ancora. E appena prima di slittare fuori scena oltre il bordo della corsia, il volto impassibile della ragazza registrò un movimento delle labbra a malapena discernibile. Un accenno di intimo sorrisetto, la più minuscola delle spunte, ma nella cui minuzia era carica una conoscenza così ampia – una comprensione così acuta delle sue serate solitarie in quei supermercati, del suo incanto di fronte a quei biscotti, e di tutto ciò che ne conseguiva – che scappò. Si mise a correre. Via difilata fuori dalla corsia nella direzione opposta e poi lungo tutto il retro del supermercato, a grandi falcate oltre i Frutti di Mare e la Macelleria, fino all’altro capo del negozio, per trovare riparo fra la Verdura. Si aggirava in mezzo ai bidoni, fra i cari vecchi cumuli di frutta lavata, col fiatone, gli occhi arrossati, perfettamente consci della propria ridicolezza. Non sapeva se ridere o piangere. «Stupida!» sibilò. «Stupida! Stupida!» Eppure continuava, avanti e indietro, assediata dalla sua brama afflitta, sbattendo gli occhi e camminando fra i bagliori e le scintille degli specchi e l’abbondanza riflessa delle verdure appena rinfrescate dai soffioni d’acqua.