L’emarginazione della natura umana: Come in una tomba di James Purdy

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di Fabrizia Gagliardi


Chiunque ne abbia sondato la carriera letteraria o l’abbia conosciuto di persona, concorda col dire che James Purdy era un uomo stranamente formale. Per avere un’idea dell’autore immerso nel suo tempo potremmo immaginare la sequenza di una pellicola degli anni cinquanta, i modi e le movenze patinate degli attori hollywoodiani verrebbero interrotti da bruschi stacchi di scena in cui la sua figura avrebbe proclamato la recitazione falsa e ingessata dei colleghi. James Purdy aveva provato a vivere l’ambiente letterario newyorchese, dove si muovevano autori come John Cheever e Richard Yates, con storie che trapassavano il sogno americano ponendosi a diretto contatto con la disillusione. D’altronde veniva da Chicago dove, grazie alla frequentazione di Gertrude Abercrombie, aveva assimilato la parlata significativa, il ritmo e l’improvvisazione di jazzisti come Miles Davis, Charlie Parker e Dizzie Gillespie.

Le sue storie si discostavano dall’aura patinata dei sobborghi, e la dilaniavano con ambienti urbani miseri, sporchi, oscuri e percorsi da uomini e donne tormentati da bisogni carnali, passioni violente, che lasciavano poco spazio alla razionalità a salvaguardia delle apparenze. Anche per questo i suoi scritti hanno incontrato molte resistenze dalle riviste letterarie del tempo, tanto da convincerlo a stampare e pubblicare per un pubblico ristrettissimo, grazie all’aiuto di mecenati. Non è difficile immaginare che lo stesso timore di collocazione di uno scrittore al contempo dentro e fuori i canoni l’abbia condannato all’oblio letterario dopo la morte.

Leggeva solo classici greci, vestiva in modo elegante, aveva modi ricercati fin quando non si mostrava scostante per un ambiente letterario che l’aveva escluso proprio quando, all’apice della sua carriera, avrebbe potuto essere la voce di una generazione.

Dopo anni di autoesilio e dopo essere stato lodato da autori come Jonathan Franzen e Susan Sontag, anche qui in Italia, da qualche anno, abbiamo riscoperto l’autore americano grazie a Racconti edizioni. La raccolta d’esordio, Non chiamarmi col mio nome, e la successiva, A casa quando è buio, ci hanno introdotto allo stile corrosivo e ai temi di Purdy, ora confermati dalla pubblicazione di un’opera emblematica: Come in una tomba, sempre edito dalla collana Scarafaggi di Racconti edizioni e tradotto da Maria Pia Tosti Croce.

Il racconto lungo narra la vicenda del ritorno a casa di Garnet Montrose, dopo che la guerra ha inciso in modo spietato la sua pelle. Consapevole che segni di ustioni e cicatrici lo rendono ripugnante agli occhi altrui, Garnet decide che l’unico obbiettivo della sua esistenza è conquistare la vedova Rance: si ritirerà in solitudine e sceglierà dei servitori per soddisfare ogni suo capriccio, compresa la consegna delle lettere d’amore alla vedova. Come in una tomba è il primo boccone amaro di una pietanza allettante nella forma, ma ignota e straniante nei contenuti. Un pensiero impellente viene abbandonato in poche righe per poi fare nuova comparsa qualche pagina dopo: alla narrazione in prima persona non interessa presentare l’interiorità nei modi di un narratore ottocentesco, il lettore assiste a una scrittura umorale i cui scatti riflessivi e aulici sono solo picchi di un encefalogramma impazzito.

Tutto quello che ho sono le lettere, i ragazzi che assumo, e la sala da ballo, e niente di tutto ciò è reale. Non credo neanche alla morte perché io sono più vuoto della morte stessa.

L’epoca storica è a malapena riconoscibile, ogni parvenza di realismo viene abbandonata per entrare in una storia dai confini immaginifici difficili da definire. Anche nel delirio di un racconto che a tratti si fa fumoso e più vicino a un flusso di coscienza, riconosceremo i temi cari a James Purdy. L’emarginazione di Garnet inasprirà la sua prospettiva sul mondo eliminando ogni possibilità di empatia. La miseria e il pericolo dello sfratto sposteranno la prospettiva umana dal piano angelico dell’adorazione dell’amata fino a ripiegarla sui bisogni carnali. La lontananza dalla realtà e il crogiolo di un passato glorioso che non può tornare.

Guardando a uno dei suoi contemporanei, la differenza con i personaggi di John Cheever che combattono guerre silenziose con demoni interiori e mai risolti, sta nel fatto che quelli di Purdy sono scostanti perché mostrano, senza remore, lo strato di pelle dopo una grave ustione: il groviglio di carne è rosso e teso e dalle vene in bella vista s’intravedono scorrere tutti i cambiamenti di stato dall’illusione alla consapevolezza.

È strano ma quando ottieni ciò che desideri da tanto scopri che desiderare era meglio, desiderare fa più male, ma si avvicina più a quello che vuoi.

Come in una tomba è il modo ideale per essere introdotti al mondo di James Purdy, perché è lo stesso luogo così familiare dei nostri desideri più profondi, quelli mai confessati, quelli che ci fanno godere nel segreto delle nostre case; un’alternativa per osservare la natura umana nella sua affascinante pochezza.

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