La cultura della sensibilità di Antonio Tabucchi

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Cos’è una pietra?
L’opera di Tabucchi nelle visioni
di Racconti con figure

di Andrea Cafarella

 

Lo scrittore guardava quelle pietre e pensava: cos’è una pietra? Dopo lungo pensare decise che una pietra è una pietra è una pietra è una pietra. D’accordo. Ma forse che una pietra significa qualcosa? No: una pietra in sé, così come un albero in sé, non significa niente.
Antonio Tabucchi, «Doppio enigma»

 

L’incontro

Ho conosciuto Tabucchi, come molti, entrando in aula e sedendomi al primo banco, consapevole del ruolo pedagogico di una scrittura che non avevo ancora mai ascoltato ma che era già attestata dentro di me come esemplare. Spesso questo tipo di predisposizione porta a sopravvalutare un’opera, per il semplice fatto che l’autore viene considerato, dalle fonti più disparate e non sempre affidabili, un maestro assoluto. Personalmente, all’opposto, questo approccio mi porta spesso indicibili delusioni che ho tentato di evitare, col passare del tempo, smitizzando tutti i grandi. E a volte funziona. Nel caso di Tabucchi, è stato invece esattamente come entrare in aula in attesa del grande maestro e trovarsi davanti uno sfrontato ed elegante professore anarchico. Uno che riempie le due ore di lezione con la densità dell’esperienza diretta, della carne, del sangue, ma riportando i suoi racconti a una dimensione metafisica e universale, il tutto con la nobile delicatezza di un insegnante di provincia degli anni settanta. Lui, il nostro intellettuale più europeo, italiano a metà, cittadino del mondo e viaggiatore instancabile.
Ho conosciuto Tabucchi, come molti, leggendo Notturno Indiano (Sellerio, 1984). Un romanzo onirico e visionario che come centro ha il viaggio, che non è solo il viaggio fisico di un corpo da un luogo a un altro luogo, ma soprattutto quello spirituale che compiamo dentro noi stessi e che riporta a un io interiore sbiadito e spettrale, uno specchio misterioso, un gemello inesistente che tutti noi conosciamo o vorremmo conoscere.
In seguito ho letto la maggior parte dei suoi libri, dai più conosciuti a quelli considerati secondari, fino alla costellazione di testi che coinvolge l’opera del suo caro Fernando Pessoa. Ma c’è uno di questi libri che considero un po’ come la bibbia di Tabucchi, uno di quei libri che riescono a dipingere la complicatezza di un’opera intera in un unicum maestoso e perfetto, pur nella sua incompletezza: Racconti con figure (Sellerio, 2011). Ho percepito immediatamente questa sua caratteristica illuminante quando, apertolo, dopo un’introduzione puntuale dell’autore, vi ho trovato il primo racconto «Tanti saluti» che, entrando subito in quel clima onirico che si diffonde per tutta la raccolta, ci rimanda, ancora, al tema del viaggio, come se stessi ricominciando a leggere Tabucchi dal principio, da Notturno Indiano. Qui però il viaggio non viene del tutto compiuto e vissuto, è quasi come se Tabucchi ci mostrasse la dimensione dello scrittore come viaggiatore in potenza, che prepara la lista delle cartoline che dovrà acquistare durante il viaggio e poi si ricorda di alcune altre cartoline, acquistate in una galleria d’arte, e decide che le userà, applicando i francobolli dei luoghi che si accinge a visitare, a raggiungere. Ma, come sempre in Tabucchi, il viaggio, ancor prima di cominciare, inizia con un incontro. E se il viaggiatore è lo scrittore, che rovista tra i suoi fogli-cartoline, nel suo faldone pieno di carte e inchiostri, l’incontro, forse, è proprio quello con il lettore e chissà che le cartoline di «Tanti saluti» non siano proprio i frammenti di Racconti con figure, lasciati a noi prima di inoltrarsi nel suo ultimo viaggio (Antonio Tabucchi muore nel 2012 un anno dopo la pubblicazione di Racconti con figure), fatti appunto di cartoline nuove, da comprare durante il pellegrinaggio, e vecchie, da riprendere in armadi vetusti e cassetti polverosi per rivestirle di nuovo con francobolli sgargianti che le ricollochino nell’unico viaggio, senza inizio né fine.

L’erede

C’è una generazione di scrittori italiani, che va da Landolfi e Buzzati passando per Manganelli e arriva fino a Calvino e Parise, che possiede una lingua di gusto finissimo, anzi, tutte le lingue sguinzagliate di questi grandi maestri, con le loro differenti ed essenziali peculiarità, hanno in loro un elemento comune, semplice ma essenziale: l’eleganza sopraffina della parola. Se prendiamo una pagina di Carlo Dossi, di Gadda, di Pasolini, nella loro diversità distante, hanno tutte una forma che si accende nella consapevolezza del veggente, dell’uomo prima dell’artista, del pensatore, del prosatore che nasce dalla lingua per generare significato attraverso il linguaggio riportando tutto, in un magnifico giro di corda, al principio: la parola.
Antonio Tabucchi è affratellato a questa generazione di grandi scrittori italiani come pochissimi altri, per l’ampiezza della sua opera, per la profonda coscienza della sua scrittura, ma soprattutto per l’attenzione cristallina verso la bella forma della lingua. Racconti con figure, in particolare, si compone delle più svariate prose e contiene testi che Tabucchi scrisse in differenti periodi della sua vita e della sua crescita artistica e che sono puri esempi di stile e bella scrittura, pur senza fermarsi al mero esercizio ma sprofondando nella sensibilità umana che sbircia la verità autentica nascosta nell’inconoscibile della Letteratura.

La cultura della sensibilità

Questa spiccata sensibilità del maestro Tabucchi, in questo strano libro fatto di brevissimi racconti ispirati da altrettanti dipinti, si può ravvisare già dal primo sguardo superficiale al libro: scorrendo l’indice. Per chi conosce Tabucchi, e inevitabilmente Pessoa, leggere un titolo come «Le vacanze di Bernardo Soares»  è evocativo ed emozionante. Ci si aspetta un riavvicinamento di Tabucchi al suo stesso maestro, che è stato per lui un faro, fino a portarlo a scegliere il Portogallo come sua patria elettiva e scrivere in portoghese uno dei suoi romanzi più belli: Requiem, su cui tornerò. Quando poi apriamo alla prima pagina del racconto e troviamo la terrazza di Pessoa dipinta da Modica, tutto torna, e sembra di ricevere un regalo, di accogliere di nuovo Bernardo Soares in casa nostra, anzi, in casa di Tabucchi che ci ha “casualmente” invitati alla stessa ora.  Sembra di poterci rituffare, grazie a questo dono personalissimo, in quell’opera straordinaria che Pessoa non portò mai a termine attraverso la scrittura di chi lo conosce meglio, di chi può anche invitarlo a casa per cena, di chi può evocare, convocare esattamente Fernando.
E se, per Tabucchi, Pessoa è stato l’ago della bussola, è nelle avventure di Pereira che risiedono le motivazioni che lo hanno portato all’autoesilio, che fu pur sempre doloroso e pieno di vergogna, come tutti gli esili. In Racconti con figure ritroviamo anche lui, Pereira, (« è arrivato il dottor Pereira») con la sua solita limonata, convocato in una forma ancora diversa. Pereira è effettivamente solo un dipinto su un foglio di carta, quella stessa immagine che apre il racconto, ma allo stesso tempo è, per Tabucchi-narratore, l’entità stessa di Pereira e di Pereira-personaggio, in un gioco di livelli narrativi, tra l’autobiografico, l’onirico e il puramente espressivo, che si ripropone con intelligenza e attenzione lungo tutto il libro.
Questo tipo di intima sensibilità, che si può ravvisare già dalla dedica a Elvira Sellerio, – cui aveva promesso questa raccolta e che riesce a consegnare soltanto alle sue memorie – condisce tutto il volume, regalandoci una sensazione costante di affettuosità amichevole, piena di personaggi fittizi e persone della vita dell’autore che egli sembra richiamare a sé – evocare – per un’ultima cena in famiglia.
(Un’affettuosità che tutti ma, ancor di più, tutti coloro che lavorano nell’ambito dell’arte e della cultura, dovrebbero, secondo me, tenere sempre a mente, anche e soprattutto grazie al naturale contatto con questi esempi di splendida lucentezza).

Mosaici

Si dice spesso che scrivere – e leggere – racconti sia più difficile che scrivere romanzi. (Cosa vera se generalizzassimo, che in letteratura è sempre sbagliato.) Sicuramente però, la brevità è una caratteristica tecnica che complica la narrazione a livello strutturale ma soprattutto stilistico e linguistico. Difficilmente un racconto, senza una voce forte a sostenerlo, funziona, come potrebbe invece fare un romanzo o ancora di più, per sua stessa natura, un saggio. I racconti di Tabucchi, già dalle prime raccolte, come Il gioco del rovescio (il Saggiatore, 1981) o Piccoli equivoci senza importanza (Feltrinelli, 1985) sono sempre di qualità ineccepibile, onirici, visionari, tendono già all’immediatezza dell’incontro intangibile che simbolicamente mostra tutto, ma, allo stesso modo di altre raccolte che fanno della brevità la loro caratteristica di primo impatto, come il Sillabario di Parise o Centuria di Manganelli, Racconti con figure contiene delle intuizioni, dei lampi, dei brevissimi testi che si accostano perfettamente ai dipinti che li accompagnano perché pittorici, espressionistici. Si arriva addirittura a incontrare delle forme ibride, come i telegrammi a Olga Luna e Jean-Paul Philippe («Telegramma a Olga Luna» e «Telegramma a Jean-Paul Philippe») che sono scritti proprio a mo’ di telegrammi, diventando delle vere e proprie poesie narrative. Oppure come «Eureka, non-eureka» dove torna una poesia (l’unica della raccolta) che un centinaio di pagine prima il personaggio dello scrittore, protagonista di «Doppio enigma» (uno dei racconti della raccolta, quello da cui ho tratto l’epigrafe che ha dato l’abbrivio a questo mio ragionamento) ricorda riflettendo a proposito del significato delle pietre, creando quella magnifica comunicazione tra i testi che premia il lettore attento con illuminanti epifanie. Ci si sente bene a capire i piccoli enigmi di Tabucchi, come se, chiedendoci un leggerissimo sforzo, ci promettesse, mantenendo sempre la promessa, di portarci per qualche attimo a sbirciare oltre la siepe.

Sogni di sogni

I testi contenuti in Racconti con figure sono immagini, sono stralci di vita, sono suggestioni, ma prima di tutto sono sogni. Si potrebbe dire che tutti i libri di Tabucchi sono dei sogni. Requiem è uno di questi, ma anche Sogni di sogni, o Donna di Porto Pim. Ognuno di essi descrive il sogno-viaggio del viaggiatore-scrittore-uomo che con lo zaino-faldone-zibaldone in spalla s’inoltra nel lungo pellegrinaggio attraverso l’invisibile intangibile. E, ancora di più, in Racconti con figure si attraversa questo tema onnipresente: si va da un sogno («Sognando con Dacosta») nel quale Tabucchi stesso entra dentro il quadro, in cui si mischia nuovamente il dato biografico a quello onirico in un cammino interiore che sa di visione ad occhi aperti; fino ad arrivare ai sogni di «Una notte indimenticabile» o «Fermo così, non si svegli» nei quali la fantasia dell’autore e la forza di una prosa incorruttibile e delicata dipingono mondi complessi, i cui magnifici strati di finzione e verità nascondono visioni che non pretendono risposte ma che lasciano una sensazione di turbamento piacevole e accogliente.
Infine c’è il sogno nella sua forma più pura: la poesia. In racconti come «Notte di un sogno di mezzo inverno» la prosa poetica splendida e semplice si frammezza ad haiku della più grande tradizione giapponese in un’ode alla luna che è un’ode ai sogni e all’immaginazione e alla notte e all’estasi silenziosa della notte e del viaggio senza fondo attraverso l’inconoscibile.

Quando l’artista è vicino alla fine

La saggezza estasiante di questi frammenti pittorici e poetici, io credo, venga da quell’assurda forma di consapevolezza che spesso coglie gli artisti all’accostarsi della nera signora. Sembra come se l’olezzo di morte, la vicinanza agli spettri, la capacità di contemplazione di fronte al tempo di una vita o semplicemente l’esperienza o meglio: tutti questi aspetti contemporaneamente, contribuiscano a generare in alcuni artisti e anzi, più propriamente, in alcuni uomini, una capacità di visione straordinariamente ampia, una luccicanza in grado di svelare i segreti più profondi e regalarci uno splendore che solo un’opera complessa e densa, come quella di Tabucchi, può illuminare completamente. (Caratteristica che paradossalmente e con altre motivazioni possibili troviamo spesso anche nelle opere prime dei grandi maestri).

Mi parrebbe abbastanza, a proposito del valore di lascito che possiede questo libro, aver fatto riferimento alla dedica che Tabucchi fa a Elvira Sellerio – davanti a un ritratto di sé stesso eseguito da Valerio Adami ­– e l’aver accennato a tutta la serie di richiami alla sua stessa opera e alle opere che più ha amato, ma penso che il racconto che chiude la raccolta sia degno di un ulteriore commento in questo senso. S’intitola «Per un catalogo che non c’è» ed è affiancato dall’immagine di copertina di uno dei suoi libri, che ho già nominato, Requiem, nella sua versione inglese, in cui appare un dipinto del caro amico Bartolomeu Cid dos Santos, Paisagem. Tabucchi racconta le coincidenze che hanno portato quel dipinto (poiché l’editore che lo scelse non era a conoscenza della loro amicizia) a diventare l’immagine di copertina di un suo libro. L’episodio è un episodio minimo, uno stralcio di vita che si dilunga in un omaggio, di altissima prosa, alla pittura, ai dipinti e alla capacità evocativa che riescono a esprimere le immagini. Celebrazione che è certamente centro di tutto il volume. Infine Tabucchi si concede lo spazio per commemorare l’amico ma soprattutto l’artista, anch’esso, come la dedica, arrivato postumo perché «come si sa, a volte, quasi sempre, la morte è più lesta di noi».
Questo racconto suona quasi come un post scriptum, un ultimo messaggio prima di ricongiungersi ai suoi cari personaggi, quelli tangibili e quelli che esisteranno per sempre nelle sue pagine e nelle pagine dei suoi più amati autori, quasi li lasciasse, gli uni e gli altri, un po’ anche a tutti noi che restiamo.

Quando cominciò a scendere il ragazzino lo chiamò. «Però non è giusto...», gridò, «ma grazie, grazie davvero!».
L’uomo gli fece un cenno con la mano. «Tanti saluti» disse fra sé e sé.

Antonio Tabucchi, «Tanti saluti» da Racconti con figure (Sellerio, 2012)

 

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