La eco infinita dell’urlo di Faulkner

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«Capite, io l’ho scritto, questo pezzo, e a me è piaciuto. Naturalmente non è così bello come volevo che fosse. Ma mi fa piacere che lo prendete.» Il giovane viso guardò un cielo ineffabile, e il sole sembrava una benedizione scesa su di lui.

«E poi» ci disse «posso sempre scriverne un altro.»

Così termina il primo racconto scelto per la raccolta New Orleans Sketches (il Saggiatore, 2017), tradotta da Cesare Salmaggi: Da Nazareth.

Esistono innumerevoli libri che raccolgono indegnamente i primi scritti dei grandi scrittori del nostro tempo e dei tempi andati. Non me ne lamento, ma nemmeno li consiglierei. Sono principalmente libri per critici e studiosi; hanno una potenza letteraria minima ma un’interessante serie di elementi necessari per un’operazione di ricerca a ritroso che risulta essenziale a un’analisi profonda di certe opere e della loro complessità. Tuttavia – al lettore – non li consiglierei. Spesso i testi che li costituiscono sono mediocri, non c’è – per ovvie ragioni e giustamente – una costruzione dell’opera degna dell’autore e, tutto sommato, anche quell’interesse, di cui sopra, appare in collegamenti forzati e in futili rimandi, a volte superflui nella comprensione – fosse pur possibile – dell’interezza di un’opera.
Non è questo il caso. Parliamo di un autore che ha influenzato quasi tutta la letteratura contemporanea (almeno quel solco patrocinato da Joyce e Proust, che arriva fino a Bolaño e McCarty – e lo spiega molto bene Nicola Lagioia in un articolo pubblicato da internazionale il 28 dicembre 2014) e che ha plasmato, in generale, l’immaginario narrativo – a specchio: lo sguardo sulla vita – di tutti i lettori (intesi come fruitori d’arte e, nel complesso, esseri umani sensibili agli accadimenti del mondo) degli ultimi, ormai, quasi cento anni. Non è questo il caso, perché – e lo dimostra già l’epigrafe posta in abbrivo – questi racconti possiedono già, inesplosa, quella potenza vocale, quell’oscurità misterica che s’insinua negli anfratti della vita, creando zone d’ombra, sulle quali lo sguardo dello scrittore si concentra, nella sua imprescindibile contemplazione dell’oscurità; per accedere all’anagogia estetica e raggiungere l’illuminazione divinatoria che rende Yoknapatawpha (il luogo immaginario nel Mississipi in cui Faulkner ambienta i suoi racconti) vicina, contigua alle provincie del mondo di oggi; ché fa sì che Davide (il protagonista di Da Nazareth) si tramuti ­– per transustanziazione della Voce – nel giovane William Faulkner che, umilmente, consegna a tutti noi il suo primo testo, in punta di penna.

Proponiamo quindi la Nota che apre il volumetto (tratta dalla prefazione di Carvel Collins all’edizione americana) perché ci sembra contestualizzi puntualmente le analogie e gli echi, nei racconti di questo volume, che tornano in tutta l’opera faulkneriana. Precisiamo, però, che non si tratta di vacuo feticismo ma di un libro che assurge a tre compiti, contemporaneamente: aiuta a capire la poetica, lo stile di un grande autore; dispiega un esempio eccelso delle possibilità espressive di un prezioso lavoro di costante scrittura e riscrittura; infine, è una raccolta che contiene racconti rilucenti di tenebra: quel meraviglioso fulgido tenebrore che avvolge l’urlo sconfinato di Faulkner e arriva a noi come una ripetizione, che non cessa di reiterarsi nel vento, un’eco, la cui forza primigenia non accenna a indebolirsi o strozzarsi, ma sbattendo su altre rocce luminose e imponenti montagne, si moltiplica e si amplifica fino a perforare la nostra realtà, la nostra percezione della realtà e il nostro stesso sentire.

Andrea Cafarella

 

Nota al testo

Nel 1925, il ventisettenne William Faulkner, fino ad allora quasi esclusivamente poeta, incominciò a pubblicare narrativa. Durante quell’anno – per metà trascorso a New Orleans – collaborò con racconti e bozzetti all’edizione domenicale del Times-Picayune. Furono sedici pezzi, sei dei quali, scelti fra i più interessanti per la luce che gettano sulla successiva evoluzione dello scrittore, sono qui presentati al pubblico italiano. Altri brevi schizzi, raggruppati sotto il titolo New Orleans, furono pubblicati da Faulkner nel numero di gennaio 1925 della rivista letteraria neworleanese The Double Dealer.
Quando giunse a New Orleans, nel 1925, William Faulkner era a una svolta della sua vita. Quattro anni prima s’era trasferito da New York all’Università del Mississippi, assumendovi l’incarico di ufficiale postale supplente. Passato «di ruolo» dopo regolare esame, il 3 dicembre 1921, la primavera seguente era diventato titolare e aveva tenuto per tre anni il posto, dimettendosi il 31 ottobre 1924. Non fu un’esperienza gradevole, tanto che dopo le dimissioni Faulkner ebbe a esprimere il proprio sollievo nel non dover essere più alla mercé di chiunque, a quei tempi di basse tariffe postali, possedesse due cents. Lo allietava pure la prospettiva di poter dedicare tutto il proprio tempo alle lettere, di esser libero (dichiarò a un amico l’indomani delle dimissioni) di «guardare il colore della vita, prender pipa e carta, sognare e scrivere». Soggiunse che non intendeva più cadere sotto la schiavitù dell’orologio.
Un altro amico, Phil Stone, rammenta che Faulkner, prima di assumere l’incarico all’ufficio postale, era andato a New York non soltanto per studiare disegno e arti grafiche, ma per essere più vicino agli editori e trovar modo di far pubblicare le proprie poesie. Ora, abbandonato il lavoro, aveva deciso di recarsi in Europa, forse basandosi sul presupposto che il miglior passaporto letterario per l’America lo si otteneva all’estero, come era avvenuto per Robert  Frost, e come doveva verificarsi anche per lui, in modo allora imprevedibile. Può darsi, d’altronde, che Faulkner avesse deciso di unirsi agli altri «esiliati» per reazione contro lo stato della vita letteraria americana, del quale parlò con durezza in un saggio apparso nel Double Dealer pochissimo tempo dopo il suo arrivo a New Orleans: «II critico americano... scambia il pezzo che ha in esame per uno strumento su cui eseguire virtuosistici arpeggi. Il che ci appare molto scolastico, e altrettanto inutile...».
Ma Faulkner rimandò la partenza per l’Europa e si stabilì nel Vieux Carré, il quartiere francese di New Orleans, prendendo in affitto una camera al pianterreno di una casa dietro la St. Louis Cathedral, in una pittoresca stradina che allora si chiamava Orleans Alley e che oggi, a beneficio dei turisti, è stata ribattezzata Pirate’s Alley. Al piano superiore abitava il pittore e architetto William Spratling (lo Spratling del racconto Da Nazareth: «... la cui mano è nata per il pennello come la mia, purtroppo, non è...» dice Faulkner, rimpiangendo le sue sfumate ambizioni pittoriche), appartenente anch’egli a quella vivace scapigliatura neworleanese che, sotto l’egida di Sherwood Anderson, doveva avere parte cospicua nella vita letteraria americana degli anni venti e in particolare dar nerbo e dignità alla letteratura del Sud. Grande influenza su questo fecondo processo di rinnovamento lo ebbe la rivista già ricordata, The Double Dealer, che apriva le sue colonne alla collaborazione dei giovani «di talento non meno che a quella di amori già affermati». Fra gli autori pubblicati dal Double Dealer fra il 1921 e il 1925 ricordiamo, oltre a Sherwood Anderson e Hart Crane, i giovani Faulkner e Hemingway, Robert Perni Warren, Djuna Barnes, Hamilton Basso, Ezra Pound, Mark Van Doren, Malcolm Cowley, Edmund Wilson, Thornton Wilder.

Nel numero di gennaio-febbraio del Double Dealer videro la luce i New Orleans Sketches, brevi bozzetti che costituiscono i primi tentativi di Faulkner nel campo narrativo. È stato detto – e Faulkner stesso ha sempre generosamente confermato l’ipotesi – che i New Orleans Sketches furono scritti dietro diretto incoraggiamento di Sherwood Anderson. Per precisione storica, occorre notare che a quell’epoca Anderson era assente da New Orleans.
Elaborati e ampliati, alcuni degli Sketches servirono come base ai racconti (tutti apparsi nel Times-Picayune durante lo stesso 1925) tradotti in questo volume. È interessante sapere che molti dei temi e dei simboli prospettati in essi si ritrovano, arricchiti e approfonditi, nei grandi romanzi successivi. Perciò questi prodotti del tirocinio faulkneriano sono altamente significativi. In Da Nazareth, per esempio, l’accenno alla calma certezza della donna incinta, che la natura si prenderà cura di lei, anticipa la figura di Lena Groove in Luce d’agosto, di sette anni posteriore; nello stesso racconto, i vecchi seduti sulle panchine del parco, i quali «avevano imparato che vivere non soltanto non è gioia o passione ma nemmeno, particolarmente, dolore», in certo modo enunciano quello stesso atteggiamento dello spirito che Compson rivelerà al figlio Quentin in L’urlo e il furore; così come nel personaggio di Benjy, del romanzo ora accennato, ritroviamo l’idiota de Il regno di Dio: gli occhi azzurri come fiordalisi, il fiore dallo stelo spezzato, l’urlare belluino contrapposto al distacco silenzioso dalla movimentata scena finale. Allo stesso modo il cavallo imbizzarrito che attraversa al galoppo la casa di Miss Harmon ne Il bugiardo diventerà il cavallo – anzi, l’intera orda impazzita – che invade la casa della signora Littlejohn ne Il borgo, e l’emporio ove si svolge Il bugiardo, con la semplice aggiunta del mostruoso Flem Snopes, diventerà la casa di Will Varner a Frenchman’s Bend. Infine Yo Ho e due bottiglie di rum (che insieme a Il bugiardo e Topi di campagna era rimasto finora sepolto negli archivi del Times-Picayune), prelude a uno degli aspetti più sconvolgenti di Mentre morivo, quando il corpo del giovane inserviente cinese, issato su un carro, viene condotto a una tardiva sepoltura sotto il massacrante sole dei tropici. 

Vari motivi centrali del simbolismo faulkneriano sono pure rintracciabili in questi racconti. Nei suoi romanzi, infatti, Faulkner doveva spesso instaurare paralleli con la fede e con i riti cristiani, particolarmente in Sartoris, L’urlo e il furore, Mentre morivo, Luce d’agosto, Il borgo e Una favola. Osservando questi brevi racconti, notiamo che già Da Nazareth suggerisce – e non soltanto per il titolo – un accostamento con la figura di Cristo. Il protagonista è giovane, innocente, pieno d’amore verso gli umili figli della terra; ha dormito con gli animali, è «eterno». Ha «adempiuto la missione che gli era stata assegnata, e ora deve soltanto aspettare». Guarda la guglia della chiesa (la croce?), o «forse era qualcosa nel cielo». È in procinto di partire, e lascia un messaggio d’amore e di buona volontà. Faulkner lo chiama Davide, e Davide, si sa, è profeta e simbolo di Cristo. Alla luce del Faulkner successivo è lecito affermare che il protagonista di Da Nazareth simboleggia Cristo. Ricordiamo che il racconto apparve nel Times-Picayune nel giorno di Pasqua del 1925.

Un altro motivo ricorrente in Faulkner e già presente qui è la figura di San Francesco d’Assisi. Il racconto Il ragazzo impara si conclude quando il giovane gangster rivede la ragazza «tutta fulgida, e i capelli né castani né dorati e gli occhi colore del sonno», e mentre sta per morire apprende che si tratta della «Sorellina Morte». L’uso dell’invocazione aggiunta da San Francesco al Cantico delle creature doveva tornare più volte in Faulkner. Già nella poesia The Lilacs, pubblicata nel 1925, l’immagine torna nel romanzo inedito intitolato Mayday, e, complicata dai problemi che riguardano la sorella vera del protagonista, ne L’urlo e il furore, quando Quentin Compson, afflitto da una specie di fame e da una specie di pena, medita su San Francesco che disse «Sorella Morte» e sulla propria imminente morte nel fiume.

Finalmente, il 7 luglio 1925, Faulkner si imbarcava per l’Europa in compagnia dell’amico Spratling a bordo della nave da carico West Ivis. Il bugiardo, pubblicato il 26 luglio, può essere stato steso in precedenza, ma potrebbe anche essere stato scritto a bordo e inviato al Times-Picayune dal porto di Savannah dove la West Ivis fece scalo prima di intraprendere la traversata oceanica. Il bugiardo è il primo racconto faulkneriano collocato in quell’ambiente rurale che lo scrittore avrebbe sfruttato con tanto successo in seguito. La traversata può avergli offerto lo spunto per Yo Ho e due bottiglie di rum, l’ultimo racconto di questo volume.

Sbarcato a Genova il 2 agosto, Faulkner percorse in lungo e in largo l’Italia settentrionale, visitando Stresa, Piacenza e Pavia, che lo incantò per la sua quiete. Passò parte dell’agosto a Sommariva sul Lago Maggiore, vivendo e lavorando con i contadini, mentre redigeva un diario di viaggio che è tuttora inedito. In settembre, dopo un giro in Svizzera, andò a Parigi, dove rimase qualche tempo, alloggiando al n.26 di rue Servandoni. A Natale del 1925 tornava in America, al Mississippi e al suo amato Vieux Carré di New Orleans.

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