Reykjavik, amore di Gudrún Eva Mínervudóttir

di Debora Lambruschini

Ho pensato a lungo a quale sia l’etichetta più idonea a inquadrare questa raccolta di racconti, Reykjavík, amore, della pluripremiata scrittrice islandese Gudrún Eva Mínervudóttir, da qualche mese in libreria nel catalogo Iperborea tradotta da Silvi Cosimini. Ci ho pensato, ci continuo a pensare, propendendo ora per raccolta di racconti “pura”, ora per short story cycle. Non è un esercizio sterile, fine a sé stesso, passatempo di un critico letterario pignolo: mi sembra invece una delle chiavi con cui accedere al testo, alla sua complessità, alla tradizione su cui poggia, approdare ad altri testi, altre tradizioni, altri mondi. E, di riflesso, onorare una forma, il racconto, ancora troppo spesso osservata solo superficialmente o scandagliata con gli strumenti inadatti, che non le appartengono. Eppure, nonostante tutto, non penso mi convincerò davvero di un’etichetta o dell’altra a proposito di questi racconti, ma ho le mie buone ragioni per cedere a un certo grado di vaghezza.
Uno short story cycle (o short story sequence, come preferiscono definirlo alcuni critici a sottolineare l’importanza della sequenzialità delle storie) è una raccolta in cui ogni racconto non rappresenta di per sé un’esperienza formale chiusa ma esplica il suo significato e potenziale nell’insieme, in rapporto con gli altri; è quindi un equilibrio sottile tra autonomia del singolo e unità dell’insieme. L’architettura che tiene insieme questi racconti, sottolineava la critica statunitense Susan Garland Mann, può essere data dalla ricorrenza di temi, ambientazione, personaggi, simboli, motivi. Va notato però che non tutte le raccolte sono quindi delle sequenze, le quali devono avere unità e ordine preciso dei singoli racconti, e oltre al carattere sequenziale lo short story cycle implica anche una partecipazione più diretta del lettore alla sua comprensione, alla comprensione dei legami tra singolo e tutto.
Mi perdonerete, spero, se insisto ancora un attimo su questo aspetto, perché la lettura della raccolta di Mínervudóttir mi ha dato modo di riflettere parecchio sulla questione e sono convinta la cosa non sia una mera questione di etichette. In un interessante articolo apparso anni fa sulla rivista The Millions Michael Deagler partendo dalla distinzione tra romanzo e racconto dava già una certa idea delle ambiguità insite in una raccolta di racconti:
Una raccolta è formata da tante narrazioni separate che mantengono la loro coerenza anche se prese singolarmente. L’ordine di lettura non è importante per capire il loro significato, così come non cambierebbe niente se ne leggeste solo tre, a caso, senza guardare le altre. Nelle mani di un bravo scrittore, a volte capita che una raccolta di racconti sia più della semplice somma delle sue parti. Possono rappresentare dei piccoli spaccati di vita di una persona o di una comunità e ricordare, quindi, quel senso di immersione che si prova quando si legge un romanzo. Si chiamano «raccolte di racconti correlati» o «cicli di storie». Ma non sono romanzi, e non ci provano neanche a esserlo.
Con Reykjavík, amore la questione, dunque, si fa interessante: i cinque racconti della raccolta sono tanto perfettamente autonomi e coerenti singolarmente quanto allo stesso tempo non possiamo dire che presi da soli siano un’esperienza formale chiusa, a partire da quel «senso di immersione» cui si riferisce Deagler è quell’architettura sottolineata da Susan Garland Mann: la ricorrenza di temi (l’amore), ambientazione (Reykjavík), motivi, talvolta personaggi. Non sempre e non in egual misura e, va detto, che si seguano o meno queste tracce, la lettura del singolo racconto e della raccolta intera sono comunque possibili. Accettando però l’etichetta di short story cycle e tutto ciò che implica, quelle ricorrenze appaiono al lettore attento qualcosa di più di semplici rimandi interni, ma la creazione di un microcosmo e una comunità che Mínervudóttir ha saputo costruire con dettagli mirati in cinque storie fuse in quest’eco di dettagli e simboli.
Forse è la prima volta che riflettendo sullo short story cycle mi trovo da questa parte della questione, se lo sia o meno e non, come accade più di frequente, a tentare di spiegare le ragioni del perché non si possa parlare di romanzo, nonostante le etichette editoriali, e a tirare in ballo esempi problematici come La vita delle ragazze e delle donne di Munro, Olive Kitteridge di Strout o, più di recente, Il primo desiderio di Rossella Milone.
I personaggi di queste cinque storie di Mínervudóttir si muovono tra le strade della capitale islandese, o meglio, dentro le sue case, le fabbriche, i negozi, spinti dal vento, sorpresi dallo scorcio del mare; quello che tratteggia con mirabile abilità è un quotidiano ordinario, privo di lirismi, autentico, carnale, con le cinque donne protagoniste di fronte a una svolta decisiva, necessaria. Mínervudóttir le osserva da una vicinanza stretta, scegliendo la prima persona con tutte le sue complicazioni e criticità per raccontare cinque storie che si muovono su piani temporali diversi, emozioni e ricordi evocati da parole e oggetti in un modo che ricorda certe atmosfere di Lydia Davis. La cura attenta nella creazione del mondo sulla pagina si lega a una prosa – e qui mi riferisco direttamente e solo alla traduzione di Cosimini non possedendo gli strumenti necessari per accedere al testo in lingua originale – che non cede mai agli eccessi, limita al minimo sentimentalismi e metafore e quando vi inciampa non vi indugia più del necessario.

 

“Non riuscivo a togliermelo dalla testa. Il mio cuore era una mongolfiera che mi sollevava da terra.”

 

I sentimenti, dunque, ma non i sentimentalismi, al centro della narrazione, in una gamma variabile di intensità, origine, intimità, desiderio. È l’amore nelle sue sfaccettature il fil rouge che lega la raccolta ma anche l’onda che trascina le cose e le persone, spesso trasportandole in luoghi e situazioni inaspettati. Ripensandoci ci sono altri motivi oltre alla questione delle etichette che possono in un certo senso legare questi racconti a La vita delle ragazze e delle donne di Alice Munro: se per l’autrice canadese l’attenzione era focalizzata su una singola protagonista osservata in diversi momenti ed età della propria vita, per Mínervudóttir il femminile è esplorato attraverso cinque donne diverse, pare lo stesso esserci una postura simile nell’intensità con cui entrambe le autrici si calano dentro i personaggi, ne scandagliano i sentimenti e le relazioni, senza mai distogliere lo sguardo e accettandone complessità, debolezze, paure, tormenti, chiedendo altrettanto a noi da questa parte della pagina.
Al lettore Mínervudóttir chiede quindi di seguire le tracce, di accettare la criticità dell’io, rincorrere i pensieri che compiono tragitti propri e paiono spingersi lontano dal centro per poi rendersi conto che il centro era diverso da quello che ci si aspettava. I diversi piani temporali su cui si muovono le storie sottolineano la distanza necessaria per le protagoniste da cui osservare e comprendere le cose ed ecco come dettagli minuscoli del passato vengono riportati al presente, investiti di una luce nuova, ora finalmente comprensibili appieno.

 

Se ripenso a cosa c’era di così stupendo in quel mattino, credo che sia l’equilibrio perfetto tra premura e indipendenza, tra intimità e libertà. È il ricordo più bello che ho.

 

Non è solo l’amore romantico che trova spazio in queste storie ma la complessità delle relazioni e dei legami affettivi e famigliari e che fa i conti, inevitabilmente, con la perdita, la solitudine, le distanze e quel certo grado di incomunicabilità tra gli individui. Se la mappa dei sentimenti è complicata, non lo è per contro quella dei luoghi in cui si compiono, cui Mínervudóttir presta un’attenzione particolare, tanto per le strade quanto e soprattutto per le stanze entro cui si muovono i personaggi, circondati dalla semplicità di oggetti quotidiani che non ci pensano proprio ad assurgersi a simbolo di qualcosa di altro ma, casomai, a popolare di vita e di anni quelle stanze in cui l’autrice ci lascia entrare.
Mínervudóttir, si diceva, scandaglia l’amore e i sentimenti in molti suoi aspetti, dal legame genitori figli al rapporto tra fratelli, passando per diversi stadi del rapporto di coppia, i sentimenti, il sesso.

 

[…] le relazioni d’amore sono come dei falò. È bello scaldarsi intorno al fuoco, ma ogni tanto uno dei due innamorati, se non entrambi, deve avventurarsi nel buio a prendere la legna per tenerlo vivo.

Alle immagini più evocative si intrecciano relazioni complesse, egoismi, meschinità, ma anche sentimenti irrazionali e totali, affetto, desiderio, possibilità.
Ecco, le possibilità. Sono le porte che si presentano davanti alle cinque protagoniste, pronte o meno ad aprirle, con il carico di incertezza, preoccupazione, brama. Desideri latenti che non possono più restare sopiti.