Shirley Jackson, la donna che amava scomparire

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Di Gaia Manzini

 

Un giorno Shirley Jackson portò il suo terzo figlio in ospedale. L’uomo dietro il banco dell’accettazione le chiese che lavoro facesse. “La scrittrice,” rispose lei. Seguì una pausa riflessiva del suo interlocutore, un sospiro che avrebbe potuto suonare rassegnato. “Scriverò semplicemente casalinga” replicò l’uomo con noncuranza.
Jackson, donna schiva e fragile, morì nel 1965 all’età di soli quarantotto anni. Maestra del gotico americano apprezzata da Stephen King, Jonathan Lethem, Joyce Carol Oates, ritenuta da Harold Bloom l’erede di Edgar Allan Poe, lottò tutta la vita per essere considerata un’artista: una penna degna di entrare in un manuale di letteratura. Lottò soprattutto contro il perbenismo che la voleva semplicemente autrice di articoli di economia domestica e moglie di Stanley Edgar Hyman, importante critico letterario e popolare insegnante del Bennington College. Il dilemma insolubile e lacerante tra essere un’artista oppure una madre, una moglie. Per Ruth Franklin, che qualche anno fa ha firmato una sua biografia (A Rather Haunted Life), l’intera opera di Shirley Jackson tratteggia la storia segreta delle donne americane della sua epoca. Il ruolo residuale al quale erano destinate. Schiacciate ai margini, mai al centro della scena, abituate a passare inosservate.
“Hilda Scarlett, l’infermiera del campo, che tutti chiamavano Will Scarlett, non trovò̀ traccia, nel registro dell’infermeria, di nessuna Martha Alexander” si legge nella Ragazza scomparsa, primo racconto che dà il titolo alla raccolta pubblicata in questi giorni da Adelphi nell’attenta traduzione di Simona Vinci. I tre racconti che la compongono – nel loro ritmo vorticoso, in tutti i loro scintillanti particolari - ruotano intorno a quella capacità così femminile, così pregiudizialmente consustanziale alla condizione delle donne, di risultare evanescenti. Di Martha, nessuno sa dire nulla di preciso. Né che corsi frequentasse al campus né chi fossero i suoi amici o quali vestiti indossasse prima di uscire e sparire nel nulla. Anche il padre e la madre, sfiancati dalla ricerca, faranno capire di avere altri figli, e di non giudicare il mancato ritrovamento come irrimediabile.
L’abilità di Jackson sta nel cogliere i dettagli. Il suo cinismo è una sferzata per chiunque la legga. Con precisione millimetrica tende il filo della narrazione, galoppa in sella a un mistero da risolvere, ma solo per non scioglierlo. Per mettere a fuoco l’indifferenza del mondo per la scomparsa di una ragazza.
No: la madre non l’amò mai, lei così sgraziata, così poco conforme ai canoni dominanti di bellezza. Le bruciò tutti i racconti scritti in gioventù; la criticò per ogni scelta, ogni tentativo di emanciparsi. La umiliava dicendole che era il frutto di un aborto mancato. Shirley Jackson, stretta dentro l’ansia, la follia da tenere a bada, rimuginava parole, le metteva in fila tra i pensieri, mentre rifaceva i letti, puliva la casa, accudiva i suoi quattro figli, li portava a equitazione, a lezione di francese o a danza; mentre si prendeva cura anche di due alani e quattro gatti. Isolata, solitaria, l’identità dolente e frammentata, viveva solo in quelle due ore al giorno che poteva concedere alla scrittura. Una parentesi dentro alla quale scomparire. Allo stesso modo, scompare sotto gli occhi di un’intera città Toni Morgan, la protagonista di Incubo, terzo racconto della raccolta; sparisce senza farlo davvero. È il perturbante di Shirley Jackson, la messinscena di una situazione apparentemente normale che scivola verso il paradosso. (Un po’ come accadeva nel celebre La lotteria -  un villaggio, una lotteria annuale a cui gli abitanti sono obbligati a partecipare per propiziare il raccolto: il vincitore, si scoprirà poco a poco, sarà la vittima designata per una lapidazione pubblica. Quando uscì sul New Yorker nel 1948 destò così tanto scalpore che Jackson ricevette per tutta la vita molte lettere che le chiedevano cosa avesse voluto dire con quel racconto). Toni Morgan è un’impiegata elegante a cui viene chiesto di consegnare un pacco dall’altra parte della città. Cammina decisa, sale su un autobus, si mette in viaggio. In sottofondo, lungo tutto il tragitto, continua a sentire – tra i rumori della metropoli – la voce di un uomo proveniente da un altoparlante. La voce sta promuovendo un gioco a premi: chiunque voglia vincere deve trovare tra le vie di New York una certa Miss X, una donna di stile che sta portando con sé un pacco. Di descrizione in descrizione, quella donna sembra essere proprio Toni Morgan. Lei stessa non capisce cosa stia accadendo. Tutti la cercano, eppure nessuno si accorge di lei.

”Ascolti”, disse l’uomo “questa città non va per niente bene. Nessuno l’ha notata”.

Pare che il professor Stanley Edgar Hyman, marito di Shirley, avesse un debole per le studentesse; che fosse un traditore compulsivo, e nutrisse un forte antagonismo nei confronti della moglie e della sua attività di scrittrice. Ne Lincubo di Hill House, considerato una delle storie di fantasmi più importanti del secolo scorso, la casa infestata è un luogo di disperazione: la casa che confonde, disorienta, seduce con i suoi misteri, fin quando le proporzioni non perdono il loro asse, il senso di realtà non esiste più. Hill House ci parla delle oppressioni legate a un ruolo, ancora una volta dei doveri ai quali una donna non poteva sottrarsi. Ci parla di Eleanor, la protagonista. Ci parla di Shirley Jackson.

Ma se non fosse proprio così? Se una possibilità di fuga esistesse? Nel secondo racconto pubblicata nelle Ragazza scomparsa il più bello, Viaggio con signora – Joe è su un treno da solo. Nove anni, nessuna paura: sta andando a trovare suo nonno. I fumetti, una barretta di cioccolato, un dollaro in tasca, Joe guarda fuori dal finestrino e si lascia andare sul sedile: «Questa sì che è vita» dice tra sé. In quel momento noi che leggiamo sorridiamo, diventiamo come lui: siamo lì seduti accanto, torniamo alla prima volta che abbiamo assaporato il senso d’indipendenza, il fatto di bastarci, la libertà. E proprio come lui, non appena ci accorgiamo dell’improvvisa, profumata, presenza di una donna lì a fianco, sbuffiamo. Ma lo scontento dura poco: la donna non è quello che sembra. Ha rubato dei soldi, è scappata per un po’, per un po’ si è goduta la vita e ha bisogno della complicità di Joe per non farsi scoprire. È avventata come chiunque voglia sentirsi svincolato da qualsiasi tipo di obbligo. Sono uguali, lei e Joe. E come loro era Shirley Jackson, il suo fuggire dal mondo che la considerava trascurabile, per rinascere – due ore ogni giorno – in quel luogo di libertà che è la letteratura.

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