La scoperta dell’assoluto e altre storie del mistero, di May Sinclair

Autore: May Sinclair
Titolo: La scoperta dell’assoluto e altre storie del mistero
Traduzione: Cristina Cigognini
Editore: 8Edizioni
pp. 288 Euro 19,00


di Debora Lambruschini

 

Voi pensate che il passato influenzi il futuro. Non vi è mai venuto in mente che il futuro possa influenzare il passato? Nella vostra innocenza c’era l’inizio del vostro peccato. Eravate ciò che sareste stata…
(“Dove il fuoco non è estinto” p. 44)

 

La prima volta che mi sono imbattuta in May Sinclair stavo svolgendo delle ricerche per la tesi di laurea magistrale: per ragioni che sul momento mi erano parse tanto acute e di cui nei mesi a venire mi sarei maledetta per le numerose difficoltà riscontrate nel reperire i testi, avevo scelto di dedicarmi alla short story inglese di fine Ottocento e a quattro scrittrici che avevano saputo imporre al genere una connotazione particolare; il nome di Sinclair non rientrava fra queste, ma qui e là nei saggi critici letti durante quel periodo tornava abbastanza di frequente, specie quando ci si avvicinava al discorso sul Modernismo inglese. A colpirmi, neanche a dirlo, alcuni racconti che ero riuscita a reperire: il soprannaturale che permeava le storie e, soprattutto, il discorso sul femminile velato ma presente, mi erano parsi molto interessanti, anche se non in linea con quanto andavo cercando nelle mie ricerche. Eppure Sinclair era rimasta lì, nella mia memoria. Romanziera prolifica, poetessa, filosofa, traduttrice, critica letteraria, Sinclair è stata anche un’attivista che si è molto spesa per la questione femminile, tanto sulle pagine quanto nella vita. Molto apprezzata dal pubblico e dalla critica del tempo, gli ultimi anni di inattività in seguito alla malattia e poi la scomparsa l’hanno condannata a un lento declino e oblio, fino alla riscoperta negli anni Ottanta del secolo scorso attraverso ristampe e saggi critici che hanno ristabilito il forte legame tra l’autrice e il movimento modernista; sua, per esempio, l’espressione “flusso di coscienza” che tanto caratterizzerà il romanzo del periodo, di cui lei stessa è stata fra le anticipatrici con il bildungsroman femminista e sperimentale Mary Olivier. In Italia sono apparsi negli anni alcuni romanzi e racconti di Sinclair, oggi di scarsa reperibilità, ma credo manchi al momento uno studio critico più sistematico sull’opera e l’influenza dell’autrice. L’ultima, interessante, pubblicazione riguarda le Uncanny stories, racconti di fantasmi e del mistero per la prima volta tradotti in italiano per 8tto edizioni: la scoperta dell’assoluto rappresenta un tassello davvero importante nella ricostruzione bibliografica del lavoro di Sinclair e non sorprende che ancora una volta sia un editore indipendente a occuparsi di salvare dall’oblio voci sommerse del passato, in quella che appare una fortunata tendenza consolidata. Penso, tra i casi più recenti, alla riscoperta di autrici della tradizione italiana di Otto e Novecento, schiacciate dal peso della censura, dal canone tradizionale, dalla peculiarità del loro sguardo, che in anni recenti sono tornate a circolare e di cui qui a Cattedrale stessa stiamo facendo un attento lavoro di ricerca e recupero, con gli approfondimenti a cura di Anna Lo Piano. La voce di May Sinclair merita sicuramente di farsi sentire anche dai lettori contemporanei e proprio questo nostro tempo sensibile alle tematiche femministe appare particolarmente adatto ad accogliere nuovamente l’opera dell’autrice britannica. L’appunto che mi sento di fare a questa bella pubblicazione è la mancanza di un apparato critico bibliografico – mia personale ossessione di cui lamento spesso l’assenza – necessario a inquadrare l’opera di un’autrice per lo più sconosciuta nel nostro Paese e che consentirebbe una ricezione più profonda dei suoi testi.
I racconti appena pubblicati da 8tto edizioni nella puntuale traduzione di Cristina Cigognini appaiono tanto più interessanti perché stratificati: se da una parte leggiamo con piacere queste storie intrise di soprannaturale, di mistero, immerse in un mondo assolutamente ordinario in cui ancor più forte appare il contrasto con tutto ciò che è intangibile, in una sorta di realtà aumentata, dall’altra scopriamo un sostrato di spunti e riflessioni intorno alla questione femminile, affrontata da Sinclair in modo peculiare e qui velato ma ben percepibile. L’ossessione amorosa, il patriarcato, le criticità del matrimonio, le presenze misteriose e l’invisibile che muta radicalmente l’idea di realtà, sono temi ricorrenti in questa raccolta che mantiene comunque una  certa varietà formale e contenutistica. Sette storie che scardinano l’idea dell’ordinario, pur restando ben ancorate a un quotidiano per lo più domestico, a sottolineare ancora una volta i confini del mondo femminile del periodo; confini che, se non superati, sono in qualche modo espansi da una realtà potenziata in cui l’intangibile appare a tratti ancora più concreto del tangibile stesso, e tutti i sensi conosciuti sono coinvolti nell’accettazione di ciò che non sempre vediamo. E dove un’assenza, per esempio, risulta tanto più concreta e forte di quanto ci si aspetterebbe:

 

Non osai mai chiedergli se a volte aveva la sensazione, come ce l’avevo io, che Cicely fosse presente in quella stanza in cui aveva tanto desiderato entrare, da cui era stata esclusa con tanta crudeltà. Non si capiva che cosa lui sentisse o non sentisse. Il volto di mio fratello era una maschera pesante, tetra; la schiena, ricurva sopra lo scrittoio, un muro dietro cui si nascondeva.

(“L’emblema”, p. 56)

 

La storia di Cicely, la sua ossessione che la spinge a tornare come un fantasma nella biblioteca del marito per tentare di comprendere ciò che in vita non le era stato possibile, è un racconto che apre a molteplici spunti di riflessione: la domesticità di cui prima è qui chiaramente espressa nell’ambientazione unica della storia, ma anche il rimando all’ossessione amorosa e la rappresentazione di una mascolinità fatta di silenzi, sentimenti repressi o comunque taciuti, di emozioni controllate, rappresenta un aspetto con cui continuiamo ad avere una certa familiarità. Nel caso di questa giovane moglie, il dubbio circa i sentimenti dell’uomo che ha sposato è qualcosa che non la abbandona neppure dopo la scomparsa ed è quello il vero mistero del racconto, più del velo che separa ciò che è corporeo e noto da ciò che non lo è. Ed è anche rappresentazione di una femminilità dominata dall’obbedienza e dal compiacimento, assertiva, dolente e da un bisogno portato all’estremo, certo, ma consapevole. 

 

Vedete, ora sapevo perché era tornata; era tornata per sapere se lui l’amava. Con un bisogno che la morte non aveva spento, era tornata per essere certa.

(“L’emblema”, p. 63)

 

Il velo si alza nei racconti di Sinclair e la realtà si mostra in tutto il suo potenziale. È lo stesso mondo, ma percepito in tutte le sue possibilità, che si mostra tanto chiaramente a chi predisposto ad accoglierlo:

 

Avrebbe detto che la terra sotto i suoi piedi fosse diventata intangibile, ma che in un lampo seppe che ciò che vedeva era l’essenza stessa del mondo visibile; viva e sottile come una fiamma; solida come il cristallo e altrettanto limpida. Era lo stesso mondo, campi pianeggianti dove c’erano campi pianeggianti, e colline dove c’erano colline; ma radioso, vibrante e, per così dire, infinitamente trasparente.

(“L’incrinatura nel cristallo”, p. 104)

 

Attraverso una lingua evocativa di cui Cigognini rende molto puntualmente ogni suggestione, il mondo di Sinclair appare amplificato e l’incorporeo non è relegato a uno spazio altro bensì esiste e si muove assieme a quello che conosciamo. La morte, quindi, e il legame con le persone amate, si carica di nuove complessità, in un rapporto che non viene mai del tutto meno e dove un certo grado di influenza è ancora possibile. Presenze venute a cercare risposte ai propri dubbi non soddisfatti, legami coniugali mai spezzati, desideri oscuri – inconsci, magari – che scatenano sensi di colpa impossibili da superare.

 

Un desiderio, persino un desiderio nascosto, poteva uccidere. Nei luoghi bui e reconditi della mente i pensieri correvano liberi senza che lo si sapesse, scavavano buche sotto i muri che separavano un essere da un altro; penetravano.

(“Se i morti sapessero”, p. 206)

 

Facendo leva sulla sensibilità e la predisposizione dell’epoca, Sinclair riesce in qualche modo a dialogare anche con il nostro razionale presente, più pronto magari ad accogliere le istanze femministe di cui questi racconti sono disseminati, rispetto al discorso sull’intangibile che tuttavia, una pagina dopo l’altra, si insinua nel nostro immaginario e apre a ulteriori suggestioni. È l’ignoto, che continua ad affascinarci, il desiderio di scardinare l’ordinario, indagare il mistero.