La santa di Arra
di Ippolito Nievo
II PARTE
VII
In quel momento per l’appunto il medico entrava per l’ultima visita dei cinque morti che gli avevano detto trovarsi in quella sala: ma appena entrato l’occhio gli corse alla giovine contadina, ed a Gaetano che s’era messo quasi a sedere per respingere e sostener la sorella. -Che è questo? - gridò volgendosi all’inserviente con due occhi da basilisco. -E’ così che intendete voi lo aver cura dei malati? Indi si avvicinò all’infermo, e data un’occhiatina di sbieco alla fanciulla, gli tastò il polso, la fronte ed il petto. -Fate recar tosto quest’uomo nella sala n. 3, - riprese egli volgendosi all’infermiere. -Ringraziate Dio che fa il miracolo di guarirlo! - aggiunse, -altrimenti avreste avuto a che fare con me. E chi è questa ragazza? L’infermiere alzò le spalle e sbassò il capo. - Sono sua sorella, - rispose la Santa accennando a Gaetano, e facendo forza agli spasimi che le maceravano le interiora. - Sua sorella, dite? – soggiunse il medico un po’ turbato prendendole il polso tra mano; - e l’è da lungo tempo che siete qui? La fanciulla per questa volta non poté rispondere, e un grido straziante le partì dal fondo delle viscere già offese dal pestifero filtramento del morbo. - Coraggio, ragazza mia! - le disse il medico impallidendo, con un certo risolino che non guadagnava gli angoli delle labbra : - il viaggio vi ha sfinita, e v'è d'uopo qualche po' di ristoro. Coraggio, ché dabbasso ci ho un letto e là vi adageremo. - Per carità! - mormorò il malato nell'orecchio al dottore. - Non dubitate, - rispose questi sommesso, - badate alla salute vostra, io curerò questa fanciulla come se fosse mia sorella; d'altronde non è che un capogiro, e passerà fra poco. Era quel medico un giovine passionato per l'arte sua, nella quale aveva fede e dottrina fuori del comune; né in lui il sapere scompagnavasi dalla carità, conciossiaché fermamente credeva, che solo con una tal concordia della mente col cuore si possa senza delitto accostare il letto d'un infermo. Perciò era egli amato da ognuno, e Gaetano videsi senza inquietudine diviso dalla Santa; dirò anzi che n'ebbe piacere, dacché dolevagli all'anima di quella sua cara cosi imprudentemente avventuratasi nelle infezioni d'uno spedale. Così il corpo già quasi inerte della giovinetta fu calato nello stanzino del dottore, ed acconciato nel suo proprio letto, ove attese egli a prestarle ogni cura del suo ministero; e mignatte, e senapismi, e fregagioni ghiacciate e nulla insomma fu intromesso; cosicché fosse natural reazione, o miracolo d'arte i polsi verso sera le eran tornati, e un sudorino latente fra carne e pelle dava speranza, che la stretta più tremenda fosse passata. Quattro giorni dopo la Santa pallida e macilenta, come restano per qualche tempo i risanati dal colera per quanto sia stato breve il suo assalto, sedeva sulla sponda di quel letticciuolo. E dappresso le stava Gaetano, più avanzato di lei nella convalescenza, che le veniva facendo da infermiere, e intrattenevasi con lei del paesello natio e dei loro cari che speravano riveder insieme fra poco. Il medico intenerito del caso pietoso della giovine avea voluto tenerla presso di sé, e confortavala a rimanere finché giungesse il congedo al fratello; ma quando questi, ristabilito affatto, fu richiamato al servigio, tardando ancora quelle beate carte a venire, la giovinetta non volle più intender ragione; e d'altronde Gaetano stesso si persuase che così non si poteva tirar innanzi, e che, giacché le forze eranle tornate, non era conveniente che il povero conte restasse privo, Dio sa per quanto tempo, di quel suo unico aiuto. Pertanto all'incirca due settimane dopo il suo arrivo, decisero fra loro che la sarebbe partita; ma prima fecero una visita al buon medico, il quale non contento di quanto avea operato proferse loro ogni fatta di soccorsi. - Grazie, non abbisogno di nulla! - rispose dolcemente la Santa. Infatti in grazia della sua generosità, il borsellino della Santa di poco era scemato, e di nulla abbisognavano davvero, eccettoché di dimostrargli, come potevano meglio colle parole e colle lagrime la loro riconoscenza. Dopo ciò Gaetano accompagnò la sorella alla stazione, dove cacciatole a forza in mano qualche inezia che l'avea risparmiato, le diede braccio a salire sul montatoio. Già la macchina fuggiva a pieno vapore, che ancor vedevasi da un finestrello sporgere salutando la mano della fanciulla, e da un rialzo sul ciglio della strada il giovine le rispondeva agitando il caschetto.
VIII
Sei ore di viaggio parvero alla fanciulla un sogno d'incanto. Come il poeta assicura : non essere maggior dolore Che il ricordarsi del tempo felice Nella miseria; così non è meno vero (ed il poeta lo assente dipingendo la gioia ancora sarei per dir tempestosa di chi Uscito fuor del pelago alla riva Si volge all'acqua perigliosa e guata); che non avvi piacere più perfetto del ricordarsi le passate sciagure quando la mano della Provvidenza torna a presentarci bello di speranze quel suo formidabile dono ch'è la vita. L'anima ha tutto da guadagnare allora, nel riandamento dei vinti pericoli, poiché da esso si viene maggiormente invigorendo quella fede, nella quale cova e si matura ogni morale virtù. La Santa troppe dolci cose avea da ricordare e da sperare, perché potesse restar vinta da quella noia che è naturale nemica dei viaggiatori. E cosi dimorando in que' suoi pensieri, e riannodando le memorie colle speranze, menava intorno lo sguardo meravigliandosi di tante bellezze, delle quali non s'era pur avvista nel primo suo passare. I1 prospetto magico del lago di Garda con quei monti, quelle acque, quel cielo tutto colorato di azzurro, terrena immagine del paradiso; la vista di Verona, la veneta Firenze intorno a cui la strada piega graziosamente come per iscoprirne d'ogni lato la maestosa bellezza; la costiera del pedemonte Vicentino rompentesi in mille ombrosi recessi, in mille vallette e sormontata dall'aerea fuga dei gioghi alpini; le vaghe movenze del territorio di Conegliano dove i foltissimi verdi delle vigne, delle querce, dei castagneti ora alternano, ora addensano l'una sull'altra le loro ombre, tutto tutto parlava all'anima della giovinetta nell'arcano linguaggio del bello; linguaggio che non ha segni, che non ha suoni, ma pur del quale non sono che scialba imitazione le rappresentazioni più sublimi dell'arte; linguaggio che solo trasfonde nell'intelletto nostro l'idea latente nelle cose esteriori, e fra loro induce un commercio indefinito di sentimenti e d'amore, che forse è reliquia, forse avviamento d'universale armonia.
IX
Smontò a Pordenone ove era quel giorno mercato; e siccome le fu detto che la messaggiera sarebbe stata due buone ore a partire, cosi prese per la piazza divisando col denaro che le rimaneva fare alcune spesucce pel padrone. I contadini scelgono difficilmente alle loro provviste botteghe di sfarzosa apparenza: sia diffidenza, sia vergogna, meglio se la intendono essi col mercante che s'attenda in mezzo al trivio, o col ciabattino imbucato come lumaca nel suo casotto, o col pentolaio che reca il suo magazzeno in ispalla. Perciò a cotali trafficanti ricorse per le sue compere la Santa, e nell'arte singolare di trattare con simile genia fece quel giorno miracoli. Passò, buttò là un’occhiatina, indi fermossi come per ozio, e si lasciò scappare una parola; ma s'intende l'aveva detta per ischerzo e volse via, facendo la sorda; ma chiamata tornò addietro, si fece pregare, contrattò, ebbe viso di piantar, come si dice, i piedi al muro , e poi cedette un punto: insomma variando questa pratica secondo l'indole del venditore e della mercanzia, seppe trarsi a buon porto, e l'aveva allogato nel suo fardello dieci braccia di panno, sei pezzuole da naso, due da collo e un paio di stivali; che ancora le restavano cinque belle lire. «Ah sciocca!» fece allora tra sé. « E pel posto fino ad Udine credo ne vogliano sei!» Però non si penti d'aver dato fondo in quel modo agli ultimi avanzi del suo corredo; e si riconfortava pensando al bel costume del suo paese, dove le zittelle che vanno a marito trovano nelle compagne tante filatrici, tessitrici e sarte gratuite, e, «avranno pazienza», diceva fra sé sorridendo; «e mi faranno cortesia un'altra volta; e in quanto al lino e alla canapa ci penserà Meni, se pur barb’Andrea sarà contento una volta che ci sposiamo!» Il posto per Udine costava per l'appunto sei lire come avea sospettato la Santa, né ci fu verso che il condottiere si piegasse ad un ribasso. E per quanto ella vuotate le tasche gli mostrasse quelle misere cinque lire, egli non trovò altro ripiego che consigliarle di staccare un biglietto fino a Basagliapenta ; il che sarebbe venuto a costarle cinque lire o poco meno. Una signora che mostrava i trent'anni tutta vestita a bruno, avendo udito da un canto della stanza quel diverbio, si fece allo scrittoio offrendosi ella di pagare quel tanto che la giovinetta non poteva pel viaggio fino ad Udine. La Santa si volse, come per sapere dal viso della signora, se doveva accettare quel beneficio o rifiutarsene; ma lesse in quello tanta bontà, benché velata da tetro dolore, che giudicò il rifiuto cosa superba e villana; onde la ringraziò colle lagrime agli occhi, rispondendo che l'era assai contenta d'essere beneficata da una signora cosi amorevole, e che l'avrebbe sempre pregato Iddio di rimeritarnela. Quell'addolorata parve maravigliarsi di sì gentili parole in labbra contadinesche, e un sorriso le apparve sul labbro, come raggio di sole al tramonto d'una giornata procellosa d'inverno: infatti presto le spuntarono due lagrime negli occhi e presa la mano della Santa, si volse da un lato per nascondere lo sforzo che faceva per trattenerne delle altre. Indi a cinque minuti le due viaggiatrici salirono nella carrozza. - Non ci sono altri? - chiese la signora al conduttore. - Eh non c'è pericolo di folla oggi! - soggiunse quegli. - Col colera che fa festa ad Udine, nessuno va da questa banda: gli è per l'altro verso invece che ogni capponaia ribocca di gente coraggiosa! - Meglio cosi! - mormorò l'altra, e con un sospiro nascose la testa nel fondo del legno.
X
Era l'ora del tramonto: ma il sole s'era coricato anzi tempo dietro una cortina di densi nuvoloni orlati di fuoco da' suoi raggi morenti; l'ombra saliva rapidissima verso la cima dei pioppi che fiancheggiavano la strada; i monti lambiti ancora sulle vette da una luce vaporosa, alle falde e per entro le gole s'abbrunavano di larghi sbattimenti, e per l'atmosfera era una calma triste, un silenzio quasi invernale. La vettura avanzava a rilento in una nube di polvere sollevata dalle zampe malvoglienti dei quattro cavalli; e il conduttore e i postiglioni, e i cavalli stessi, direi quasi, dormicchiavano; ma non di quel sonnolino delizioso che fabbrica sui sentimenti della veglia le dorate fantasticherie, sibbene di quel letargo di stupidimento e di tedio, che opprime palpebre e pensieri d'un peso di piombo. La Santa, tutta ritta e composta sull'orlo del sedile, stava contemplando con amorevole pietà la sua vicina che non moveva verbo, sicché la si avrebbe creduta presa essa pure da quel torpore universale, se uno sguardo mesto e svagato non fosse patito di quando in quando verso il cadente sole da' suoi grandi occhi neri. Spesso le anime inesperte d'ogni cosa del mondo sono le meglio veggenti quando trattisi di scandagliar un dolore, d'indovinare un sentimento; e tal virtù, che sa di magia, proviene da quella perfetta e vergine bontà, che tutte volge a favor altrui le forze dell'anima; mentre i tristi sempre a sé pensanti e al proprio bene, non aggiungono tale squisitezza di acume appunto pel continuo spartimento della loro attenzione. Ché se il giudizio de' migliori intorno ai malvagi, colpa le lenti stesse della bontà, va spesso errato, ciò mai non gli avviene quando s'abbatta in anima dell'egual sua tempra. Perciò se a dritto sentenziò il proverbio, che chi ha male non può misurar bene, abbiamo per compenso una santa e dolce verità, nell'altro motto, che all'uom dabbene avanza la metà del cervello, al tristo tutto non basta. La contadinella di Arra avea intravveduto nell'anima della sua compagna un fondo di angelica bontà, e diffuso sovr'esso un tetro scoramento, che mal s'accordava colla serena pazienza naturale a quella virtù. Pietosa come la era, guardava con reverenza la giovinetta a un dolore così calmo e profondo; e non lo diceva, ché poco dicono e molto fanno di lor costume le anime semplici, ma in difetto di parole, mostravanlo il pietoso atteggiamento, e l'amorosa intensione degli sguardi, che ben volentieri avrebbe tolto per sé metà degli affanni ond’era afflitta la buona signora. Costei s’avvide alla fine della tristezza che con quel suo sfidato concentramento aveva dato alla fanciulla; e certamente era dessa buona come la Santa avea giudicato, se di tal colpa involontaria ebbe come rimorso, e si propose farne ammenda onorevole intavolando discorso con lei. - Donde siete, la mia ragazza? - domandò per cominciare come tutti cominciano. - Sono di Arra, - rispose la Santa, quasi gorgheggiando come costumasi dalle labbra friulane quando sfoggiano l'idioma di gala, che è un certo gergo venezianesco. Per lei tutti avevano a sapere dove il suo villaggio era; perciò rispose ingenuamente a quel modo, né si maravigliò gran fatto che la signora conoscesse l'appostamento boschivo di quel briciolo di paese. - Di Arra sopra Tricesimo? - sclamò questa con una cotal sorpresa dove molto entrava il piacere, e quasi altrettanto la curiosità. - Sì, signora! - rispose la fanciulla, lietissima d'un sorriso che tremolava sulle labbra della sua benefattrice, come foglia di rosa vicina a cadere. - Ed è un bel paesino, veda; e non faccio per dire, ma non lo scambierei con quanti ne ho veduti da questa mattina. Oh se la ci fosse stata! ... Che belle macchie di castagni, che belle collinette, che bei prati che ci abbiamo! - Oh ci sono stata anch'io! - fece la signora con un sospiro; - e benché sien passati vent'anni da quando ne partii l'ultima volta, e fossi in allora una bambina, pure me ne ricordo come fosse ieri. - Ah la è passata anche lei per Arra? - sclamò raccostandosele la Santa. - N'è vero che l'è un grazioso sitino? ... E si ricorda della chiesuola? ... Ma ora, veda, l'hanno rifatta; e ci abbiamo la strada nuova; e alcune delle case furono rifabbricate; e molte hanno buttato via il cappuccio di paglia per imberrettarsi di belle tegole rosse; e tutte poi sono bianche bianche, che a vederle fuori delle siepi le somigliano proprio uno stormo di piccioni alla pastura. Non ve n'ha che una un po' scura e che abbia cera di vecchia, ed è quella dove sto io; ma il cantuccio è tanto bellino, e il buon Dio l'ha adornata così a meraviglia di edere verdi e rosse, che l'occhio, non si sa il perché, gode a guardarla: e parrà che le conti una fiaba, ma ci son dei signori che passando si fermano dinanzi al nostro portone più a lungo che dinanzi agli altri, e dicono fra loro: «Oh veh che sito da dipingere!» - E che casa è questa, dove voi dimorate? - domandò la signora con voce alquanto commossa. - L'è la casa del conte, - rispose candidamente la giovinetta. - Di qual conte? - richiese l'altra prendendola per mano. - Del conte Orazio, - soggiunse la Santa; - e tutti in paese lo conoscono, ché già non ce ne sono altri. - Del conte Orazio di Raspano? - riprese affrettatamente la signora. - Ah si! ora la mi fa ricordare, che sulle lettere che gli capitano talvolta sta scritto per l'appunto cosi: ma io non me ne faceva caso. Oh se lo conoscesse che bravo e buon signore che l'è! ... S'immagini ... Ma ora che ci penso, la deve pur conoscerlo, se ne sa il cognome meglio di me! - Si ... lo conosco... ma continuate pure, figliuola! ... Cosa dicevate? s'immagini ... - Ah si! s'immagini ... voleva dire, che darebbe tutto agli altri, e si caverebbe anche la camicia per donarla al primo poverello che gliela domandasse. Ma già cosa serve contar a lei di queste cose?... - No, figliuola, contatemi pure. Io credeva invece che il conte ... Ma ditemi è egli ancora ricco, è contento, se la passa allegramente? - Cioè... sì ... no... - balbettava la giovinetta volgendo il capo dall'altra banda. - Via, parlatemi chiaro ... Io posso aver qualche motivo per sapere la verità. Confessatemi tutto; forse il vostro padrone è in qualche strettezza? - L’è povero e nudo come un'anima! - sclamò la Santa; e o pel dolore destatole da un tal pensiero, o pel rammarico d'aver palesato quella miseria che al padrone dava tanto cruccio appunto perché lo impediva dal soccorrere gli altri; si buttò singhiozzando nel fondo della carrozza.
XI
La signora pel momento non badò quasi all’affanno della giovinetta, tanto pareva commossa da quello ch’essa le aveva narrato: però in breve le tornò la mente alla raccontatrice, e vistala così trambasciata per lo svegliamento di quelle memorie, stimò che di grandissimo affetto dovesse amare il suo padrone, e gliene seppe buon grado. - Via, poverina! datti pace, - riprese essa pure quasi piangendo. – Datti pace che forse il Signore mi ti ha fatta incontrare per qualche suo altissimo fine di bontà; e presto tu e il tuo padrone sarete ricompensati dalla vostra carità e pazienza - . E ciò dicendo si asciugava ella le lagrime; ma cosa mirabile, questo nuovo affanno, anziché aggiungere tristezza alla sua sembianza, la veniva qualche poco rasserenando: non era più il buio del tempaccio d’inverno, sebbene il cielo d’una sera d’autunno nel quale la luna naviga tra l’azzurro stellato e le nubi d’argento; non era più la disperazione, ma una rassegnata melanconia, e pareva che in quel frattempo avesse ella trovato una qualche dolce cosa quaggiù, colla quale riempire il suo cuore già voto d’affetti e di speranze terrene. - Sì, datti pace, - riprendeva indi a poco. – La Provvidenza ripara spesso al guastamento degli uomini. Via, narrami del conte Orazio!… T’assicuro che le tue parole non saranno fiato gettato, e che lo aiuteranno forse a riacquistare l’agiatezza che ha perduto. - O nessuno nessuno fuori di Dio può ridonargli quanto egli ha perduto! – rispose fra i singhiozzi la giovinetta. – Non è mica la povertà che più fortemente l’accora, sibbene la solitudine e l’esiglio dalla sua famiglia cui è condannato da vent’anni; chè l'aveva una sorella, alla quale tutto tutto aveva sacrificato; ed essa dopo restata vedova l'ha abbandonato, ed è andata lontano lontano con una sua figliuolina, ed ogni volta che il mio padrone pensa a quelle due anime piange e si dispera come un bambino ... In seguito poi gli è mancata anche la moglie; e la s'immagini! ... trovarsi così solo, egli che ha tanto bisogno di voler bene! ... Egli che adesso che parliamo, ama quella sua sorella più di quanto non l'abbia amata mai! ... Oh la deve avere il cuore ben duro quella signora! ... Non si è mai degnata neppur di rispondere alle sue lettere!... - Dio le perdoni! - mormorò l'altra. - E dimmi, - riprese a voce più alta; - di sua nipote cosa dice? forse che l'è una sconascente, una cattivaccia anche lei? - Oh no! - rispose la Santa, - dice solo che sua mamma le avrà contato delle assai brutte cose di lui, e cosi lo avranno tolto dal suo cuoricino. - Oh si, e l'ha ragione a pensare così! - sclamò impetuosamente la signora; ma calmatasi, con voce tremolante richiese: - Son molt'anni che tu, figliuola mia, sei in casa del conte? - Da quando son nata, - soggiunse la giovinetta. – Mio padre era il gastaldo di casa; e siccome ai tempi dei Francesi d'una ferita toccata in battaglia l'era rimasto zoppo, e il padrone cionullameno avealo voluto tenere in casa con mia madre, così la si figuri quanto egli lo amasse, e quanto io e mio fratello abbiamo dovere di amarlo ora che mio padre è morto! - Ah il povero Martino è morto? - fece la signora, - e tu sei la sua figliuola? -L’è morto tre anni dopo che Gaetano partì soldato, - riprese la Santa. - E la malattia l'andò lunga per anni; e il padrone ci spese dietro tanto, che quello fu, si può dire, l'ultimo suo tracollo. Già era un pezzo che colle brutte annate che erano corse, i coloni s'erano malamente indebitati; e il conte, per non fare il cattivo, prendeva danari a prestito da quei maledetti di Udine che dànno il bianco e si fanno rendere il giallo; ma egli non ci badava purché continuasse nelle solite larghezze. Insomma picchia e martella fu sfondata la botte, e due anni dopo la morte del mio povero papà, gli furono mandati all'asta tutti i fondi. Si figuri! siamo restati colla casa quasi nuda e con due campi d'ortaglia, lui vecchio e un po' avvilito da quella disgrazia, io sventatella di diciotto anni, che non capiva nulla e non sapeva altro che piangere! - E la povera ragazza per l'amarezza di quelle memorie ricominciava a lagrimare. - E come l'è andata poi? - domandò l'altra per togliere la giovinetta dalla sua angoscia col divertirle il pensiero di cosa in cosa. - Ti sarai fatta una brava massaia! - Davvero fu fortuna che Gaetano in quel torno avesse un permesso di quattro settimane, - soggiunse la Santa ricomponendosi. - Egli ci rimise un po' di coraggio, e insegnò a me come doveva fare per trarre avanti la casa meno male. Infatti io mi ci avvezzai, ma lui il povero conte per quanto abbia viso di esser contento si rode nel fondo dell'anima! - E ciò dicendo il singulto la riprendeva. - Via non disperare! - prese a dire la signora. - Iddio s'è finalmente ricordato del tuo padrone! - Sì, l'ha ragione! - rispose la fanciulla. - Presto Gaetano torna a casa, allora potremo lavorar l'ortaglia a dovere. E lui andando a giornata in montagna, io dipanando seta guadagneremo qualche soldo, e il padrone la camperà meno miseramente. - Ma dunque voi altri servite il conte Orazio per pretta carità cristiana! - sclamò intenerita la signora. - Oh no, - riprese la Santa con un mesto sorriso degno d'un angelo. - Ci ho il mio salario e guai se pel primo del mese non avessi raggranellato per conto del padrone le dodici lire colle quali ei possa pagarmi! - Cosi al fin de' conti tu affatichi anche per procurar al padrone il contentamento di retribuirti? - Oh no, signora! io lavoro perché col conte non avrò mai saldato il mio debito; e ch'io spenda quel danaro addirittura, o che lo faccia passare per le sue mani, viene poi ad essere tutt'uno. - Dunque quel salario costituisce tutte le entrate della famiglia? - Presso a poco, signora! - Oh mio Dio, mio Dio! - sclamò questa stringendosi una mano della fanciulla sul cuore. - E sono tre anni che la campate a questo modo? - Per dirle tutto siamo anche stati in peggiori condizioni; ché ora almeno il padrone è sano, e la tira innanzi ... Ma due anni fa! ... Oh se ci avesse veduti! ... Si figuri ch'egli aveva una tosse, una tosse da scoppiare, e una debolezza poi da non potersi reggere, onde gli convenne stare gran parte dell'inverno nel letto. Ma che dico letto? l'era un pagliericcio tutto rappezzato, e sopravi per coltri un guazzabuglio di vesti, di sacchi laceri, e perfino di gonnelle. Allora appunto dopo una lunga nevata la stagione si stemperò in una pioggetta sciroccale; ed ecco che l'acqua trapana il tetto; e il soffitto della camera comincia a gocciar tutto, che a star in orecchi pareva d'essere nella tinaia al tempo della pigiatura. Poveretta me, cosa doveva fare! Cercai sì, d'ingegnarmi, disponendo pel granaio a raccogliervi la pioggia quante tinozze, pentole e catinelle seppi stanare, ma là di sopra era un diluvio e non bastavano. Insomma fu fortuna che rovistando per le casse trovassi un vecchio ombrellone di tela incerata: e lo rattoppai alla meglio, e al padrone convenne star in letto due mesi con quell’arnese sul capo assicurato al solaio con certe cordicelle. Aggiunga poi che siccome quella ella era la stanza migliore della casa, fu duopo ricoverarvi ammucchiate qua e là, dov'era più asciutto, le patate e quel poco di fagiuoli che ci avevamo, e il sacco della farina lo misi a salvamento sotto il letto, onde notte e giorno era una festa indiavolata di sorci, e di ratti, sicché alla fine toccò al povero malato tener a portata di mano uno staffile per rintuzzarli, altrimenti per poco non gli saltavano sul capezzale! Lì la Santa accortasi di lasciarsi portar via troppo dalla voglia di raccontare, si tacque tutta vergognosa. - Ma il medico almeno qualche volta veniva? – domandò la signora per farle animo. - Il medico? - fece la ragazza. - Una volta sola tentai di condurglielo; ma il conte non volle saperne nulla, e finché fu a letto, non volle vedere neppur il cappellano che pur è suo intimo amico, e credo fosse per vergogna di mostrare agli altri quel suo canile. - Ma tu, povera figliuola, sarai male alloggiata in quella catapecchia, - sclamò la signora. - E dimmi: non hai mai pensato a maritarti? La giovinetta arrossì fin nel bianco degli occhi, e la guardò con un certo piglio che diceva: «non la potrebbe risparmiarmi questa confessione?» - Via, fa' conto ch'io mi sia il tuo confessore, - proseguì l'altra con soavissima voce: - e rassicurati che io ti voglio bene, e posso esser chiamata da Dio a consolarvi tutti. - Sì, ci ho pensato, - rispose la Santa chinando il capo, - cioè voglio bene ad un giovine del mio paese; ma gli è troppo ricco per me, e forse è fortuna; poiché se i suoi parenti essendo poveri ed umili avessero consentito al nostro matrimonio, allora avrei dovuto rifiutarmene io. - E perché mai questo? - Perché ... perché ... Come potrei lasciar il mio padrone prima che Gaetano almeno non sia tornato? - Oh tu sei una buona figliuola, - disse la signora traendosi al petto la Santa e baciandola sulla fronte. - Il Signore è stato misericordioso a me ed a te, nel farmiti incontrare. E a proposito, com'è, che ti trovi in questo viaggio, così sola e lontana da casa? La giovinetta narrò allora per lungo e per largo ciò che noi pure abbiamo narrato, della malattia di Gaetano, e di quanto le era occorso a Brescia; senonché mentre le nostre frasicciuole fecero ridere di compassione i lettori, il semplice e commovente dire della Santa fu cagione alla sua compagna di dolci sospiri e di dolcissime lagrime. - Ascolta, - riprese questa come fu terminato il racconto e si ebbe rasciugati gli occhi. - E’ molto, molto ricco il tuo innamorato? ha padre e madre? - No, l’è affatto orfano, - rispose la fanciulla: - ma l'ha ancora suo zio e la mamma di suo padre; ed hanno dieci campi del proprio; sicché barb’Andrea, che è il capo di famiglia, vorrebbe tirar in casa una nuora che ne avesse altri cinque, e per questo lato, la capisce bene, io non gli posso accomodare. Perciò Meni, che è il mio giovine, è spesso in sul litigare con esso lui, e una volta o l'altra per togliere questo scandalo converrà che mi decida a separarmene. - Ti prometto che questo non succederà, - disse la signora. - E ho tutti i motivi per credere che barb’Andrea di qui ad una settimana ti troverà di tutto suo grado! - Oh come lo sa lei questo? - sclamò la fanciulla piena di speranza. - Ti basti che lo sappia, senza indagarne il come, - rispose l'altra, - e domattina andremo ad Arra in compagnia, e lassù accomoderemo tutto pel meglio col conte Orazio, Meni, barb’Andrea, e il cappellano, che spero sarà ancora don Lorenzo! - Sì, sì, don Lorenzo! ... ma come la fa lei a saper tutto così appuntino? - Non ti ho già detto, piccina mia, che vent'anni fa io fui ad Arra? Or bene, sappi ora, che in quel paesello ci dimorai tre anni, e furono i più belli della mia vita. Oh se avessi saputo d'aver colà tanti mali da riparare, non sarei mica stata lontana tanto tempo sai? - Come? lei ha dei mali da riparare lassù ad Arra? - Mali da riparare e colpe da espiare, figliuola mia! - Lei, lei ha delle colpe da espiare? ... oh è impossibile! - Si, delle gravissime colpe, dei gravissimi torti che io e l'anima della mia povera madre abbiamo verso il tuo buon padrone! - Come ... lei ... sarebbe forse ... la signora Livia? - Sì, sì! son io la nipote del conte Orazio! - sclamò la signora, - e ti giuro che se basta la mia vita, tutta io la spenderò per compensarlo di quei lunghissimi dolori che gli abbiamo cagionati! ... Mezzanotte era passata quando giunsero ad Udine, e la signora Livia volle aver la Santa a compagna di camera, e per gran parte della notte si fece narrare del conte Orazio, della sua bontà e delle sue disgrazie. Indi alla sua volta narrò alla fanciulla, come, dimorando ella colla sua famiglia a Bergamo, il colera le avesse portato via in pochi giorni la mamma, il marito e l'unico figliuolino che l'aveva. E al far parte ad altri per la prima volta di quelle sue immense sciagure, la povera donna pareva pazza, e si torceva le mani, e piangeva per tal modo che il cuore era lì lì per iscoppiarle. Pure non furono vane le consolazioni della Santa; e per esse fu ella in grado di raddurre la sua mente a Dio; e pregando pei suoi cari l'eterna misericordia, e pensando al suo povero zio che ancora le rimaneva, trovò modo di coricarsi un po' racconsolata, e anche di prender sonno indi a non molto. Il mattino per tempissimo salirono esse in una vettura che le trasse in breve fino a Tricesimo: e di quali sentimenti fossero piene le loro anime non si potrebbe dirlo a parole. Quando poi il cocchiere, istruito dalla Santa, svoltò giù per la romita strada di Arra, e da lontano distinguevansi alcune casette del villaggio, allora non ebbero più ritegno, e tutte due s'unirono a un tratto in un pianto così dirotto che le parevano formare un’anima sola.
XII
La Santa si riebbe alfine, tanto da poter ordinare al vetturale di fermarsi all’imboccatura della viuzza che mena alla casa del conte. Lì la signora Livia appoggiandosi al braccio della fanciulla mise piede a terra, e facendo forza al tumulto che le durava nel cuore prese per quella stradicciuola, e guardava tutto all'intorno come salutando le vecchie querce che s'incurvavano sul suo capo. Era la stessa via, erano le stesse ombre; varcando un passatoio udì anche lo stesso romorio d'acqua del quale tanto piacevasi da bambina, ma oh Dio quanto era ella diversa da quell'età fanciullesca e beata! Nulla quaggiù al mondo dura, ma tutto dura più di noi: sicché in riguardo alla vita umana puossi ben affermare che nulla muta all'infuori di noi, e che i diversi aspetti delle cose sono ottiche illusioni e fantasmi della mente. Giunte al cospetto della casa la signora si strinse più saldamente al braccio della Santa. - Coraggio, - mormorò questa; - la pensi al bene che la viene a fare quassù, e Dio le darà forza all'anima; - e la trasse dolcemente verso la porta della cucina. Il conte Orazio era allora inginocchiato davanti al focolare, e soffiava a perdifiato in certi ramoscelli di rovere appena spiccati, per avvivarne la fiamma e abbrustolire tre fetterelle di polenta mezzo sepolte nella cenere. Al fruscio delle due donne che entravano, si volse, e riconosciuta la Santa si rizzò correndole incontro per abbracciarla. Ma la Livia in quella avea guardato lo zio, e mezzo svenuta s'era abbandonata con uno strido fra le braccia della giovinetta. - Cosa è stato? ... per carità! ... Santa! ... - balbettava il vecchio. Ma la Santa non poteva aiutarlo né rispondergli, ché, vinta dalla soverchia commozione, la dovette puntellarsi anch'ella contro una seggiola per non cadere. - E’... la signora ... Livia! ... - mormorò finalmente la fanciulla. - Ah cosa dici? ... E’ la mia Livietta? - sclamò il vecchio mancando esso pure della consolazione. Uno scoppio di pianto soffocò le altre parole che gli si affollavano sulle labbra; e fu meraviglia se tanta forza gli rimase, da prendere la nipote e acconciarla coll'aiuto della Santa sopra una scranna. Poi se le sedette più dappresso che poté, e la baciava, e la contemplava da vicino e da lontano prendendola per le braccia, e sorridendole e stropicciandosi ad ogni poco gli occhi; ed ella la poveretta, riavutasi da quel mezzo smarrimento, piangeva essa pure, e serravasi sul cuore le mani dello zio, e rispondeva alle sue occhiate con isguardi tutto amore e pietà; ma invano si sforzavano tutti e due a parlare, ché forse erano soverchi i sentimenti delle loro anime per nicchiarsi1in quella camiciuola di forza che è la parola. Alla fine il conte trovò un filo di voce. - Eh so tutto sai, Livietta mia! - prese a dire soffermandosi ogni poco pei singhiozzi che gli facevano intoppo. - Dov'è il tuo bambino, tuo marito, mia sorella? - Son tutti morti! tutti nelle mani di Dio! - gridò la povera donna con tale schianto che parve squarciarlesi il petto. Il vecchio non fece motto, ma traballò come percosso dal fulmine e se non era la Santa che intenta in ogni loro atto, corse a sostenerlo, sarebbe piombato a terra d'un colpo. La Livia riebbe allora tutto l'animo suo, e alla sua volta adagiò lo zio sulla seggiola, e spruzzandogli lievemente le tempie coll'acqua fresca, lo ebbe in breve tornato in sé. - Ah Dio mio! - fece il vecchio con un sospiro; e diede di nuovo in uno sfogo di pianto; ma questo gli colava giù per le guance placido placido, e avrebbesi detto che gli occhi suoi lagrimavano, ma che l'anima se n'era volata via, come se fosse omai colma la misura dei dolori assegnatile dal divino volere. - Oh per carità, perdonate a me ed a loro! - gli andava dicendo la Livia. - E qual cosa devo perdonare a te, povera innocente? - rispose il conte quando la tempesta dell'angoscia si fu schiarata intorno al suo cuore. - Or bene perdonate alla mamma! - seguitava ella più sommessamente. - Oh le avea sempre perdonato! - egli soggiunse. – E sospirava al momento che l'avrei riabbracciata; e quel momento deve venire, sai; che Dio me ne ha sempre lasciato la fidanza; e se non lo aggiungemmo a qui basso, gli è segno che c'incontreremo lassù, ove il nostro bacio sarà puro d'ogni amarezza. - Oh lasciate ch'io m'inginocchi davanti a voi, - replicava la Livia. - Voi siete un santo, e meritate, più che amore, venerazione! - No, mi basterà che tu mi voglia bene, - riprendeva il vecchio; - e che tu compatisca in me quelle maniere un po' rozze e malcreate, che a buon dritto mi fecero malvolere dai miei parenti! - Starò sempre con voi! parleremo dei nostri cari, ci ricorderemo degli anni passati, vi racconterò e del mio povero Enrico che mi lasciò dopo soli quattro anni di compagnia, e del mio Carlino che appena toccata la terra se n'è tornato al cielo! faremo del bene a questa buona gente! Ci faremo benedire da tutti, - sclamava la Livia; - e poiché il Signore ci ha tolto il conforto di essere aiutati dai nostri più cari in questa santa opera, essi almeno ci pioveranno dall'alto le buone ispirazioni, e la forza e la grazia tanto necessarie a dar loro effetto valevole! - Sì, sì, resterai sempre con me, - rispose il conte; ma in quell'idea s'affacciò egli alla memoria delle sue miserie, e gli sovvenne di non aver una stanza dove allogare, foss'anche per un giorno, la nipote. - Santa, - diss'egli a mezza voce, - ascoltami! tu andrai dal cappellano ... Oh ma ora che ci penso, non lo troverai; ché l'è andato dal tintore che fu preso dal colera. - Come, c'è il colera anche qui? - sclamà la Santa tutta costernata guardandosi intorno. - Davvero c'è il colera? - ripeté la signora Livia. - E dove è Meni? ... come sta Meni? - chiese tutta tremante la giovinetta. - Consolati che Meni fu qui tutta la mattina, - rispose il conte; - e per questi giorni mi ha prestato assistenza da vero figliuolo: e da ciò ho conosciuto sempre più che l'è un giovine dabbene, e di gran cuore, e che ti vuole un bene dell'anima. Aspettarono un poco, indi tutti insieme salirono dal cappellano, ove la signora Livia volle incaricarsi di tutto; e siccome era suo intendimento di por tosto mano a ristaurare la casa del conte, cosi s'accomodò colla vecchia Martina, perché a lei, alla Santa e allo zio si desse alloggio nella canonica, la quale era tanto vasta da albergare il doppio di gente. Dopo espose ella a don Lorenzo un altro suo disegno, ed era di stabilire lì presso, in una casicciuola di contadini attigua alla chiesa, uno spedale pei colerosi il quale ella stessa provvederebbe d'ogni bisognevole. E quel disegno andò tanto a sangue al buon prete, che la sera stessa quella casa fu sgombra della famigliuola che l'abitava, e vi furono recati da Tricesimo sei letti nuovi, e portativi oltre il tintore, altri due poverelli presi nella stessa giornata dello stesso bruttissimo male. Dappoi fu chiamato Meni; e se si abbracciarono di gusto egli e la Santa ve lo potete figurare; ma la pasqua fu piena, quando la signora Livia gli disse, ch'ella costituiva in dote alla sua amorosa dodicimila lire, e che poteva riferirlo a barb’Andrea onde vedere se questa nuova qualità gli rendeva ben accetta la nuora. Udendo questo, il giovine non conobbe più ritegno, e in onta alla mestizia di tutti gli altri e al colera che, si può dire, picchiava alla porta, saltò così alto che ne ebbe a toccare il soffitto. Però fu deciso che lo sposalizio si celebrerebbe a disgrazie terminate; e fu la stessa Santa ad insistere su questo punto, dacché ella dichiarò, che avendo ottenuto per sé e per Gaetano la grazia di scapolarla, tenevasi obbligata in coscienza a soccorrere agli altri disgraziati prima di provvedere alla propria felicità. Meni torse un po' il naso, ma finì col dire che l'aveva ragione, e che l'era una vera santa, e nel lasciarla verso notte, sentì di amarla a tre doppi di prima. Il giorno presso la signora Livia e la Santa presero a dirigere il loro piccolo lazzaretto: e si stabilì col medico di Tricesimo che vi sarebbe passato due volte al giorno. Infatti tanta fu la cura di questo, tanto lo zelo e l’annegazione delle due donne, tanta la grazia colla quale Iddio guardò quella loro sublime carità, che la maggior parte dei malati guarirono. Il contagio era quasi scomparso quando capitò a casa Gaetano, e lascio a voi immaginare le dolci accoglienze che gli furono fatte. Finché la casa del conte non fosse rimessa a nuovo, stette egli per ospite in casa di barb’Andrea, il quale fu beato di far dimenticare la sua durezza passata verso la Santa, colle mille cortesie usate al fratello. E a vero dire quel vecchio non mancava di cuore, ma solamente aveva fisse come chiodi certe sue idee, dalle quali dipartirsi e morire gli sarebbe stato lo stesso: né sono rari i contadini tagliati su questo stampo. Intanto la signora Livia, a nome del conte Orazio e per mezzo di don Lorenzo e del notaio di Tricesimo, era venuta ricuperando gran parte dei fondi dello zio, e quando a mezzo settembre, essendo a buon porto il ristauro della casa e guarito l'ultimo coleroso, si stabilirono per la ventura settimana le nozze della Santa, tutti i nostri amici erano contenti come gente che ha fatto il proprio dovere. Un briciolino del tripudio universale toccò anche al mastro peltraio, il quale, chiamato a fornire la cucina del conte, ebbe la delicatezza di riportargli tutti gli utensili da lui comperati tre mesi prima, e, la sfacciataggine di farseli pagare tre volte tanto. Finalmente il giorno fortunato del matrimonio spuntò, e fu il vecchio cappellano a benedirlo; e dopo la cerimonia il conte e la nipote entrarono per la prima volta cogli sposi nella loro casa così ringiovanita e ben adorna, che non la pareva più quella. Solamente l'assieme dell'esterno, per volere della signora Livia, non erasi tocco per nulla, per conservargli quella pittoresca bizzarria che tanto piaceva; e anche nel racconciare il muro di cinta eransi rispettate le viti selvatiche e le edere che lo addobbavano: il cortile e le sue macerie aveano ceduto il luogo ad un giardinetto, dove all'ombra delle antiche piante che prima gli erano ingombro ed ora grazioso adornamento, crescevano i gerani e le dalie. Il pranzo fu allegro sì, ma non romoroso, che ben ognuno sentiva, non essere quella annata da bagordi; e il vecchio conte mostrava a tutti un certo suo abito di panno rozzo ma lucente, e diceva loro senza ritegno di vergogna: - Vedete, figliuoli miei, questo è un regalo della Santa, e lo comperò cogli ultimi soldi del suo corredo; ma già sono un ingrato a dirvi che questo vestito è suo dono, perché la mia vita istessa fu ella a serbarmela, e senza di essa, non sarei ora qui a benedire il buon cuore della mia Livia! La Santa a queste parole si ristringeva per vergogna; ma Meni sedutole accanto la guardava con certi occhi che parlavano chiaro; e poi volgendoli all'ingiro pareva che dicesse: « ho buon naso si o no, io?» Dopo desinare la nuova coppia di sposi fu installata nella sua nuova abitazione, la quale fu una casetta in fondo all'orto del conte, che era stata negli anni addietro la sua gastaldia. E là pure si ridusse barb’Andrea col resto della famiglia, dacché la sua casa, per essere in una bassura, fu giudicata malsana dalla signora Livia e dal conte. Quella bella giornata fu chiusa devotamente con un ufficio religioso in suffragio dei morti di colera; e così si pensò di surrogare la festa di ballo, che è nel Friuli consueto suggello d'ogni gioia pubblica e privata. - Balleremo meglio questo carnevale! - avean detto tutti quanti; e tutti lodarono come savia e cristiana questa ritenutezza nell'abbandonarsi troppo al chiasso, e alla crapula, mentre vagolava ancora sul capo di tutti un tremendo castigo di Dio. La sera come tutti furono ritratti nelle proprie stanze, la signora Livia data la felice notte allo zio si ridusse ella pure nella sua, ove scrisse la seguente lettera che noi riportiamo come schiarimento morale e conclusione del racconto. Amica dilettissima! Quando due mesi fa ti scrissi, che per alcuni doveri che m'incombevano verso un mio zio, benché giunta a metà viaggio, avea creduto opportuno di sospendere la mia entrata nel convento delle suore ospitaliere di Trieste, ove tu sei, non potea dire di conoscere il mondo che per un aspetto solo; lo conosceva cioè per le molte sciagure che dimorando in esso si incontrano. Ma in questo frattempo un altro suo aspetto mi si è svelato, pel quale sono affatto riconciliata con lui; e questo è il grandissimo bene che si può raccogliervi con poca semente, e coll'aiuto della fede e della vera carità. Io del resto per la triste dipintura fattami in addietro di quel mio zio, e per averlo creduto per sé provveduto d'ogni bene, mi credeva spoglia omai d'ogni affetto e d'ogni legame mondano; ma fortunatamente non era così. Il conte Orazio del quale avrai udito parlare cosi sfavorevolmente da mia madre, è un vecchio santo, che si rovinò beneficando gli altri, e che nella sua miseria moriva per la disperazione di non aver più di che aiutare i poverelli. Figurati quanto io gli sia devota, e come ferma di riparare con ogni mio modo ai torti ch'ebbi io pure involontariamente verso di lui! Addio mia buona sorella! Io sono abbastanza consolata per la consolazione che veggo dipinta sul viso di quanti mi circondano; e adoro quella santa Provvidenza di Dio, che i nostri mali volge a maggiore e universal bene; e pregola sempre che per lo svolgimento di cotale giustissima legge venga crescendo sempre la somma della felicità e delle virtù, e digradando al contrario quella delle miserie e dei peccati. Forse entro l'inverno verrò ad abbracciarti con mio zio: intanto abbiti il cuore della tua Livia.