Istrice, un racconto di Giuseppe Potestio

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Negli ultimi giorni era piovuto molto e il livello del fiume era salito fino al terzo segno. Aveva iniziato a intaccare gli argini e si vedevano nella massa scura dell’acqua i rami spezzati, la sporcizia e qualche tronco trascinato dalla corrente. Anche il rumore del fiume era diverso e si poteva sentire l’acqua urtare i sassi, nelle asperità, dove ancora non erano levigati. Dei pesci, invece, non c’era traccia. Non come d’estate, nei giorni di secca, quando li si poteva vedere immobili, come sospesi a mezz’aria. In quei giorni, era bello pescare, far danzare la preda davanti ai persici, fino a quando non gli restava che morderla, pur sapendo quello che li aspettava.
Andavo sul fiume con mio padre la mattina presto e se veniva l’ora di pranzo e se la pesca era buona, mio padre indugiava. Anche se avevo fame ero contenta di stare con lui e se mi lamentavo troppo mi faceva fare qualche tiro della sua sigaretta. «Questo non lo dire a nessuno», diceva. Quelle erano le prime sigarette che ho fumato, le stesse ho continuato a fumare, anche se mai, ricordo, hanno più avuto quel sapore. Ma adesso l’acqua scrosciava forte, mio padre era morto da anni e subito dopo anche la mamma. Era come se quei lutti fossero stati uno solo, come se tutto fosse stato già deciso nel momento in cui lui se n’era andato. Ricordo il letto grande di casa e il gioco di fiori ricamati sulla coperta. Gli incavi del materasso, come un quadro moderno, quando insieme a zia cambiai le lenzuola. Ricordo anche la faccia che avevano tutti, in chiesa. Ma non ricordo la mia. Pensare che per un bel pezzo mi sentivo in colpa per tutto, per le arrabbiature che gli avevo fatto prendere e per tutte le volte che li avevo visti litigare. E non ho più festeggiato il mio compleanno. Nemmeno adesso che ne avevo fatti quattordici. Non so come fanno certe persone, ad andare avanti come niente, come se gli sia morto il gatto o qualcosa del genere.
Fuori la chiesa, avevo la faccia sporca dei baci e solo uno l’avevo sentito carnale ed era quello di zia Marietta, che improvvisamente era fuggita con un’altra donna. Zio Mario le aveva trovate insieme nel letto, quando aveva visto che era con un’altra donna non si era arrabbiato. A quel tempo i fratelli già la ignoravano e anche mio padre era stato duro con lei. In un piccolo paese queste non sono cose che si riescono a nascondere. Si devono affrontare sotto gli occhi di tutti. L’acqua scrosciava forte ed era buio già da un po’ e non passava nessuno. Un vento freddo mi irrigidiva il collo. Da quel lato, il fiume andava a dividersi in tre tronconi. Lo fissavo scorrere, sporgendomi dal muretto, cercando di dimenticare. Era abbastanza alto per dimenticare? Magari mi sarei solo rotta una gamba, o peggio ancora, sarei finita su una carrozzella. Vidi una macchina spuntare da dietro la curva, rallentare e fermarsi. Poi abbassarsi il finestrino, piano. «Vuoi un passaggio?», disse la voce da dentro la macchina. Mi abbassai un poco, ed era ancora freddo, e vidi la barba, gli occhi buoni e il sorriso di zio Mario. Zio Mario faceva il meccanico.
Mi piacciono i meccanici perché sono come medici, oppure artisti, che studiano i meccanismi della natura. Lavora per sintesi, la natura. E naturalmente, accettai. Era partito lasciando l’odore del carburante non combusto e la scia dei fari che si allontanava. Passata la curva Mario voltò a destra, scalando, in una piccola discesa dove la strada asfaltata si faceva di terra e sassi. Dai finestrini abbassati entrò l’odore della polvere insieme al rumore del fiume. A destra, dietro un fitto di canne, c’era il piazzale del depuratore, pieno di spazzatura. «Ti sei fatta grande», disse zio Mario, mentre ci allontanavamo dalla strada provinciale ed entravamo nel buio. «Davvero? Non mi sembra», risposi. Ai lati della strada si intravedevano cancelli chiusi con grosse catene che impedivano l’accesso agli spiazzi antistanti le baracche di lamiera. A tratti si sentivano cani abbaiare affamati o saltare pesantemente contro le reti di ferro. «Ce l’hai il fidanzato?», domandò continuando a guardare avanti. «No, non ancora», dissi. Pensai a Marco. Non aveva avuto il coraggio di baciarmi, anche se si capiva che io lo avrei lasciato fare. Anche quel pomeriggio eravamo rimasti nel parcheggio dietro scuola a mangiare un gelato. Io lo avevo guardato fisso negli occhi e avevo sorriso, ma lui non mi aveva voluto baciare. Adesso la luna spandeva una luce tenue sui campi, illuminando i tralicci del telefono. Più avanti dopo la seconda curva alla fine della strada bianca, un’istrice era sbucata fuori dalla cunetta e aveva iniziato a ondeggiare la sua cresta di aculei nell’erba umida della cunetta. Arrivati alla curva, all’improvviso l’animale attraversò. Sentii un piccolo urto e lo vidi andare a nascondersi oltre la cunetta, dove si sentiva scorrere il fiume. Per un istante avevo intravisto illuminate dai fari le punte bianche e acuminate degli aculei e i suoi occhi spaventati brillare nel buio. Somigliavano ai miei. Arrivati a uno spiazzo vicino al bosco Mario spense la macchina. «Che fai?», chiesi. «Ieri qui ho visto un cinghiale, vediamo se ripassa». Aveva una voce velata, diversa da prima. In quel momento sentii la sua mano ruvida toccarmi il seno sinistro, poi spostarsi sul destro. Sentii una strana sensazione trasformarsi da una specie di piacere in paura. Mi ricordai di quando da bambina, nel lettone ricamato, giocavo con mio padre. Di come lui si divertisse a urlare: «Sono il mostro», ad immobilizzarmi per farmi le pernacchie sulla pancia. Quando mi alzavo dal letto avevo le guance rosse, ed ero stanca per la lotta. Guardai il cruscotto dove c’erano attaccati due magneti. L’immagine di una madonnina tra le cime innevate di due montagne e un frate barbuto con gli occhi al cielo. «Questo non lo dire a nessuno», disse Mario spostandosi sopra di me.


Giuseppe Potestio è nato nel 1980 da padre italiano e madre americana a Tuscania, paese di uccellacci e uccellini, dove vive e lavora. Ha scritto di cronaca giudiziaria e per un periodo ha coltivato un orto, ma l’hanno avuta vinta i cinghiali. Ha frequentato il primo e il secondo modulo del corso Trenta Cartelle. Attualmente sta lavorando alla sua prima raccolta. Istrice è contenuto nell’e-book Passaggi, otto racconti.