Su Gordon Lish editore e scrittore, intervista a Stefano Friani

di Debora Lambruschini

È difficile scrivere di Gordon Lish senza avvertire immediatamente il peso dell’influenza che ha esercitato nel definire la letteratura statunitense e, pur negli innegabili eccessi, il mestiere di editor. Difficile, nel senso di tutt’altro che immediato, è anche la parola che mi ronza in testa più spesso lungo la lettura dei suoi racconti, ma pure procedendo con la riflessione sui testi, sull’eredità di Lish come editor e come scrittore, sulla possibilità o meno di scindere le due figure, sulla ricezione della sua opera tra i lettori italiani. Racconti edizioni è stata fin da subito una casa editrice attenta ad accogliere anche le voci più complesse, le narrazioni di confine, non incasellabili, non mainstream, e un paio di anni fa portava per la prima volta al pubblico italiano la voce di Lish scrittore, con una selezione dalle Collected Fictions, Come scrivere un racconto, magistralmente tradotta da Roberto Serrai. Era lo svelamento di Lish scrittore a un pubblico che per lo più lo conosceva come editor e, nello specifico, editor di Carver, con il ben noto rapporto complesso tra i due che ha influenzato tanto la leggenda di Lish quanto certe riserve sul mestiere stesso di editor. Altre storie arrivano dunque nel catalogo dell’editore romano, ancora tradotte da Serrai: Volevo essere stupefacente, raccolta uscita a settembre di quest’anno, con la curatela di Stefano Friani che ne ha selezionato i racconti, anche a seguito di uno scambio con Lish stesso e che dunque compone una costellazione della produzione breve dell’autore, fatta di rimandi, tematiche, modalità formali ricorrenti.

Nella prefazione al volume Come scrivere un racconto, Francesco Guglieri portava tre esempi illustri – Don DeLillo, David Leavitt, Raymond Carver – che fungevano da «tre tentativi di esaurimento di un luogo chiamato Gordon Lish», consapevole che «non ci saremmo nemmeno avvicinati alla possibilità di «esaurire» Gordon Lish, di dire tutto ciò che è stato e ha rappresentato». Anche questo articolo intervista è, dunque, il tentativo di ragionare sull’impatto di Lish sulla letteratura e le voci del Novecento statunitense, sulla sua eredità come scrittore, sul mestiere di editor. Per farlo, ne parliamo con Stefano Friani, curatore della raccolta appena uscita, reduce da un incontro sul libro a Book Pride Genova.

 

Gordon Lish è noto principalmente al grande pubblico come editor e soprattutto come editor di Carver. Spesso controverso per l'impatto che ha avuto sulla sua prosa. Mi chiedo, quanta discrepanza c'è, se per te c’è, tra Lish editor e Lish scrittore?

Personalmente avevo delle idee piuttosto definite in merito fino all'incontro di ieri [N.d.r. incontro tra Friani e Nicola Manuppelli, Book Pride, Genova]. Nel senso che poi, nel ragionamento che abbiamo fatto con Nicola Manuppelli, lui sostiene una tesi piuttosto ragionevole, dal mio punto di vista, che non avevo preso in considerazione.
Cioè che la produzione artistico-letteraria di Gordon Lish sia alla fine una prosecuzione con altri mezzi della sua opera di editor. Questo nascerebbe, e lo aggiungo io, sicuramente dalla frustrazione del poter arrivare solo fino a un certo punto con le voci degli altri, nonostante sia sempre stato un editor che ha puntato a far emergere la voce dell'autore che editava intagliandolo come un diamante grezzo, per certi versi, arrivando appunto a cose anche ovviamente scorrette, come nel caso di Carver che è un editing chiaramente eccessivo e ormai riconosciuto come tale da tutti.
Nella musicalità delle frasi che si susseguono una dopo l'altra come se fossero pezzi di un brano musicale possiamo individuare quel minimalismo inventato da Lish, c'è una forte tendenza anche al ritornello, ci sono le parole che tornano e riecheggiano all'interno della struttura dei singoli racconti e della raccolta e della sua produzione in generale. Ecco, in questo c’è sicuramente un’eco del Lish editor.
Se uno dovesse essere ignaro di cosa ha scritto Gordon Lish e conoscesse solamente Carver, che è la situazione più probabile per un lettore italiano che ha una familiarità con i racconti di Carver ma magari non ha mai letto Gordon Lish, sono una cosa molto diversa secondo me. Sono una cosa anche molto personale che non ha eguali: magari il ragionamento di Nicola è vero, c'era questa tentazione di portare alle estreme conseguenze il ragionamento intavolato con una serie di autori e con gli editing e l'insegnamento di una serie di principi derivanti dalla filosofia di Deleuze e di Levinas sulla letteratura. Poi però il risultato, uno lo prende in mano ed è una cosa radicalmente diversa.
Se noi leggiamo Principianti nella formulazione senza le cesoie, l'estro e l'intelligenza di Lish, io sono convinto che la pubblicazione di quel libro non abbia fatto un favore a Carver. Poteva sussistere ancora il dubbio che i racconti nella loro versione precedente più distesa e uscita dalla mano di Carver fossero migliori: erano sicuramente diversi, erano decisamente un'altra cosa, ma secondo me non sono migliori. Quindi Lish ha sicuramente contribuito a fare la fortuna di Carver e l'ha influenzata al punto che il Carver che si libera di questo giogo fardello e pubblica Cattedrale è già un autore cambiato, non è più l'autore di Principianti, è un autore anche lì lishano.
L'autore di Principianti e Lish sono dunque due rette che non si incontreranno mai, se invece prendo il Carver delle due raccolte curate da Lish e i racconti di Lish c'è un sentiero.

 

Abbiamo parlato di Carver, abbiamo parlato di Lish nel ruolo di editor che senza dubbio ha dato un contributo profondissimo alla creazione del minimalismo statunitense così come lo conosciamo e quindi ha lasciato un'eredità importante come editor. Dal punto di vista invece di Lish come scrittore, secondo te, stando al territorio nord americano, a quel contesto, che tipo di eredità ha lasciato come scrittore?

Io credo che sia stata una voce solitaria da scrittore e del resto lui stesso consegnando la sua eredità anzitempo, perché ancora tra noi, in un'intervista alla Paris Review ha definito la sua opera come quella di editor, di revisore, di insegnante in seconda battuta, non di scrittore.
Però, posto che secondo me è ingeneroso nel non definirsi scrittore, e non sono solo io a dirlo: penso a De Lillo che dice che è noto per tutte le ragioni sbagliate, quando in realtà testi come Perù e Dear Mr. Capote sono assolutamente degni di finire nelle librerie dei lettori americani e non solo. Posto che è stato ingeneroso nei suoi stessi riguardi, dunque, devo dire che la sua eredità come scrittore non mi pare sia stata raccolta. C’è una recensione molto dura e anche un po' dileggiante, mascalzona, di Joshua Cohen sulle Collected Fictions, e Joshua Cohen è uno che si iscrive in quella stessa tradizione di letteratura americana di origine ebraica, anche ironica. E quindi proprio per questo motivo, proprio perché lo sente vicino, decide di fare questa specie di parricidio per interposta persona, perché lui non è un figlio di Gordon Leach in nessun senso, non è stato un suo allievo, non è stato editato da lui. E di fatto gli rinfaccia di praticare una “letteratura masturbatoria”. Sostanzialmente tra le righe dice - utilizzando se vuoi anche un colpo basso – lo stesso rigore che Gordon Lish applicava alla letteratura degli altri come editor non ha sentito l'urgenza di applicarlo a se stesso in questi racconti. Perché si concede effettivamente delle libertà che ai suoi scrittori, questo va detto, non concedeva, non sentiva evidentemente. Però è vero pure che quella è la voce di Gordon Lish, nel senso…trovamelo un editor che va da Gordon Lish che è stato probabilmente uno degli editor più importanti del novecento insieme a Maxwell Perkins e pochi altri voglio dire. Quindi io credo che non abbia molti figli da questo punto di vista come scrittore, però secondo me se andiamo ad astrarre un po' la sua letteratura si iscrive in un filone che è quello della letteratura di derivazione yiddish ebraica degli Stati Uniti.

 

Ecco, come curatore c'era una bella responsabilità perché effettivamente in Italia non c'è stato finora un grande lavoro su Gordon Lish come scrittore. Questa raccolta Volevo essere strafacente arriva dopo Come si scrive un racconto ed è una selezione da un corpo ben nutrito di opere. Come hai fatto questa selezione, da dove sei partito, perché è arrivato poi al lettore italiano in questa forma?

Allora, c'è stato naturalmente anche lo zampino di Gordon che mi ha aiutato soprattutto nell'inserire due racconti che non sono nelle Collected Fictions e che lui ci teneva uscissero in italiano. Questo per rispondere anche a una domanda che è stata sollevata spesso se lui volesse o meno essere tradotto, perché c'è questa leggenda che non volesse farsi tradurre e in realtà era entusiasta dell'operazione.

 

Se mi posso permettere Serrai ha fatto un lavoro magistrale, non era facile…

Secondo me quella traduzione meriterebbe un premio anche perché hanno rifiutato fior fiore di traduttori prima che qualcuno come lui si prendesse questa brutta gatta da pelare e lo era, perché davvero complicato. Credo si sia anche divertito, questo posso dirlo, ma è sempre più difficile tradurre i libri brutti che quelli belli.
Per la selezione la differenza è molto semplice, nel primo libro ho cercato di assecondare una tendenza che già c'era all'interno delle Collected Fictions, racchiudendo testi che avevano un impianto metanarrativo e che avessero anche l'idea dell'insegnamento dentro, quindi per quello si intitola Come scrivere un racconto perché dentro ci sono pezzi su come scrivere un romanzo, una poesia, testi che snocciolano un po' la narratologia che è sostanzialmente l'arte con cui lui ha giocato per tutta un'esistenza. Quello era un po' l'impianto del primo libro che teneva fuori una serie di testi, forse quelli più esistenziali e che avevano a che fare anche con la caducità dell'esperienza umana, in particolare la morte, la malattia, la psoriasi; c'erano evidentemente anche nel primo dei racconti che toccavano la malattia della moglie di carattere più biografico, ma in questo sono sicuramente preponderanti. Restano fuori ancora un sacco di racconti e spero che in futuro ci sia l'occasione e l'opportunità di pubblicarli perché è un corpus di assoluto valore letterario e anche godibile come lettura.

 

E non conforme a quello che è la grande maggioranza delle scritture di oggi, mi sembra qualcosa di ancora assolutamente sperimentale, fuori dai modi, fuori da rotte prestabilite, mi sembra particolarmente adatto a un lettore di Racconti edizioni e di conseguenza un lettore abituato a farsi pungolare in qualche modo.

Siccome si parla spesso di scuole di scrittura e Gordon Lish è stato assolutamente un campione delle scuole di scrittura, nel senso che è stato un insegnante che ha avuto un'influenza enorme su una serie di scrittori attraverso l'insegnamento, ecco questo è un libro che non uscirebbe mai dalle scuole di scrittura oggi come oggi e secondo me va salutato con giubilo proprio perché siamo tutti stanchi degli scheletri di sceneggiature Netflix che leggiamo e non ne possiamo più delle didascalie: questo è un libro anti didascalico con una verve debordante, la messa in scena dei racconti è quanto di più strambo e pazzo uno possa trovare su pagina oggi.

 

Si parlava prima di quanto l'impostazione metaletteraria sia presente qua dentro, soprattutto mi verrebbe da dire in questa raccolta in modo particolare, secondo te qual è la ragione? Mi sembra un insieme di tante ragioni, da una parte mi viene da dire il gusto per la parodia verso un ambiente letterario che conosce molto bene, dall'altra il discorso personale, una certa fase della vita, quel gusto che trovo in questi racconti per la narrazione della fisicità del corpo, i suoi aspetti più grotteschi, da un certo punto forse anche una dimostrazione di mestiere, di padronanza tecnica. Mi sembra un insieme di queste cose. Tu cosa ne pensi?

Secondo me dobbiamo partire dalla biografia di Gordon Lish, sotto gli occhi di tutti anche quando scrive: Lish è uno che si trasferisce a San Francisco convinto che Dean Moriarty di On the Road sia una persona vera, legge i racconti della famiglia Glass di Salinger e diventa assolutamente convinto che siano persone autentiche, che facciano parte della sua vita. Quando scrive fa questa cosa. Diceva Francesco Guglieri nella prefazione alla prima raccolta che non c'è un narratore affidabile all'interno dei suoi racconti, sono sempre narratori inaffidabili, si è sempre sul crinale tra il vero e il falso. Gordon Lish soprattutto è un personaggio inventato da se stesso, non so come dirlo in altri termini, del resto penso al soprannome Captain Fiction, è lui che se lo assegna, è una specie di supereroe che si muove sulla pagina come una sorta di alter ego. Siamo in un'epoca in cui siamo assillati dalla produzione di contenuti, siamo diventati noi per primi produttori di contenuti per le piattaforme social e dunque nella letteratura vediamo un sacco di auto fiction, un tentativo di mettere in prosa la propria esistenza: Gordon Lish questa cosa la faceva e la fa da una vita e la fa però con l'idea che la letteratura è anche vita, che la sua è un'esistenza letteraria a tutti gli effetti. Io non credo ci sia tanto il gusto per la narratologia, per mettere in mostra la tecnica, quanto invece dire “queste sono le cose di cui ho vissuto e sono sulla pagina”, credo sia questo il punto. Poi c'è sicuramente il gusto per la beffa, penso ai due racconti salingeriani, “Senza promettere niente”: c'è la storia meravigliosa di lui che lo pubblica su Esquire nel 1984 dopo un decennio che Salinger vive da recluso, è sparito, non si sa che fine abbia fatto, quindi tutti salutano quel racconto come un grande ritorno del maestro e poi si scopre che in realtà era Gordon Lish che lo parodiava; e poi c'è il racconto gemello “Per Jerome” in cui c'è il padre di Salinger che gli rovescia contro un vituperio inaudito. Quindi la parodia fa sicuramente parte della tradizione di cui abbiamo parlato, un po' anche della tradizione ebraica, un po' anche del fatto che Lish è stato a contatto tutta una vita con la letteratura. Ed è una vita spesa bene secondo me al servizio della letteratura che si fa letteratura sulla pagina e nei suoi testi.
Credo che l'accusa di Cohen di cui parlavamo prima sia ingenerosa, nel senso che Lish è un autore che ha a lungo anche sacrificato la propria voce per far emergere quella degli altri, e a lui dobbiamo alcune delle scoperte più importanti degli ultimi anni... Ci sono tantissimi autori che ha aiutato a pubblicare, a far uscire: la lista è lunghissima, ma io credo che andrebbe letto anche come autore per – cito ancora Guglieri – tornare a ricordarsi di quando la letteratura era importante, cosa che oggi mi sembra passata un po’ in secondo piano.