È in libreria RACCONTI ITALIANI, scelti e introdotti da Jhumpa Lahiri, edito da Guanda. Un testo prezioso e ricco che fa il punto con la tradizione breve italiana; uno sguardo che taglia in profondità le dinamiche letterarie e narrative del racconto italiano, la finestra esplorativa di tutto il panorama narrativo del novecento. Un libro imprescindibile per chi ama - ma soprattutto per chi ne è più a digiuno - del racconto nostrano.
Cattedrale vi propone un estratto dell’introduzione di Jhumpa Lahiri, che ha curato e raccolto questa edizione. Ringraziamo l’editore e l’autore per la cessione.
*
Jhumpa Lahiri
Molti degli autori qui presenti si conoscevano. Si sostenevano a vicenda, si influenzavano, si scontravano. Promuovevano, rileggevano e recensivano l’opera l’uno dell’altro. Facevano parte di una comunità, di una rete, erano uniti da vivaci amicizie personali e professionali e, in un caso, persino dal matrimonio. E mentre consideravo e scrutavo questo panorama letterario nel tentativo di cogliere ogni aspetto delle loro vite e della natura della loro creatività, mi sono resa conto che erano quasi tutti individui ibridi, con molteplici inclinazioni, identità, caratteristiche e ombre. Erano scrittori di narrativa e allo stesso tempo erano anche altro: poeti, giornalisti, artisti, musicisti. Molti di loro avevano responsabilità editoriali importanti, erano critici, insegnanti. Alcuni erano scienziati di professione o politici. Altri erano militari, ricoprivano incarichi amministrativi o lavoravano nella diplomazia. E in gran parte erano traduttori, che vivevano, leggevano e scrivevano a cavallo tra due o più lingue. L’atto di tradurre, fondamentale per la loro formazione artistica, e` la rappresentazione linguistica del loro innato ibridismo. La maggioranza di questi scrittori oscillava tra il dialetto e l’italiano standard; sebbene tutti scrivessero in italiano, l’italiano non era per tutti la lingua dell’infanzia, o la prima che avessero imparato a leggere e scrivere, o quella nella quale erano state pubblicate le loro prime opere. Quattro sono nati fuori dai confini attuali dell’Italia e molti hanno trascorso una parte considerevole della propria esistenza all’estero, per studiare, viaggiare o lavorare. Alcuni si sono avvicinati ad altre lingue, hanno scritto romanzi in francese o portoghese, hanno sperimentato con l’inglese e il tedesco, hanno imparato un altro dialetto, rendendo ancora più complessi i propri testi e la propria identità. I loro percorsi sono stati segnati dallo sperimentalismo, linguistico o stilistico, e da un’ostinata volontà di trasformazione. Erano artisti che per tutta la vita si sono interrogati e si sono ridefiniti, alcuni prendendo provocatoriamente le distanze dalle fasi precedenti del proprio lavoro. Un segno evidente di questo ibridismo e` rappresentato dal numero impressionante di nomi inventati o alterati. Elena Ferrante e` lo pseudonimo di una scrittrice che ha conquistato il mondo letterario, ma molto prima di lei altri autori italiani si sono creati degli alter ego per ragioni politiche o personali, per difendersi dalla legge o non essere associati alle proprie origini. Otto degli scrittori presenti in questo libro sono nati con un nome diverso, mentre altri hanno pubblicato alcune opere sotto pseudonimo. Cambiare nome significa modificare il proprio destino, rivendicare un’identità autonoma, e per uno scrittore e`, quasi letteralmente, un modo per riscrivere se stesso. Non stupisce quindi che molti di questi racconti affrontino il tema dell’identità, dell’individualità fluttuante, e si soffermino in particolare sulla questione del nome. I personaggi hanno spesso un rapporto complicato con il proprio nome, e alcuni non ne hanno affatto: forse un ammiccamento a uno dei personaggi centrali dei Promessi sposi, chiamato, appunto, l’Innominato. Sempre legata al discorso sull’identità è la questione femminile: il modo in cui le donne erano considerate e quello in cui erano viste. Molti di questi racconti sono ritratti di donne, che ora affrontano e sfidano l’ideologia patriarcale, ora rivelano una mentalità nella quale le donne sono ridotte a oggetti, denigrate, calunniate. Ho preso in considerazione la possibilità di escludere questi testi dalla mia selezione, in segno di protesta contro rappresentazioni tanto discutibili. Ma, così facendo, avrei fornito un’immagine distorta della società italiana e del modo in cui si rispecchia nella letteratura. Come donna e come scrittrice, questi racconti mi hanno aiutata a comprendere meglio il contesto culturale del femminismo italiano e ad ammirare ancora di più le conquiste fatte dalle donne di questo Paese. Il punto e` che molte delle più toccanti descrizioni femminili qui presenti sono state scritte da uomini. Il matrimonio e` un tema ricorrente: per la precisione, il modo in cui l’identità di una donna può essere alterata, compromessa e negata da un uomo, e anche dalla maternità. Ma tutto il Novecento, che ha assistito al collasso di una serie di grandi istituzioni sociali, compreso il matrimonio, e` stato un laboratorio nel quale le identità individuali sono state perse e ritrovate, riconquistate e scartate. L’ibridismo si manifesta anche attraverso il gran numero di animali che si trovano in queste pagine, una metafora ricorrente che mette in evidenza la barriera porosa tra mondo umano e animale. In tal senso, alcuni testi sono riconducibili alle favole di Esopo, alle Metamorfosi di Ovidio e alla tradizione folclorica, nella quale il regno animale ha sempre rivestito un ruolo di primo piano. L’importanza degli animali nella letteratura satirica e ` stata colta anche da Giacomo Leopardi, i cui Paralipomeni della Batracomiomachia sono una parodia del racconto epico, ispirata a un antico poema greco rivisitato da Leopardi per criticare le politiche dell’Impero austriaco e il falso patriottismo italiano.2 In molti racconti compaiono animali che parlano, agiscono e pensano come esseri umani. Svolgono il ruolo di amici, amanti, interlocutori filosofici, coniugi. Fungono da specchio, da filtro, riflettendo e rivelando una moltitudine di psicologie e stati d’animo. Al lettore non sfuggirà la presenza di numerosi personaggi che sembrano più animali che umani, o che hanno tratti sia animali sia umani. La valenza paradossale degli animali merita grande attenzione, perchè rappresentano una condizione di libertà e sottomissione, di innocenza e ferocia. Come emerge chiaramente da questi racconti, sono creature allo stesso tempo amate e divorate, venerate e sacrificate, esseri che definiscono e approfondiscono il significato stesso di «umano». Mentre riflettevo sui vari e intriganti incontri tra uomo e animale in quest’antologia, sono rimasta colpita da una frase di Benito Mussolini: «Il fascismo nega [...] la ‘equazione benessere felicità’, che convertirebbe gli uomini in animali di una cosa sola pensosi: quella di essere pasciuti e ingrassati, ridotti, quindi, alla pura e semplice vita vegetativa».3 Questa osservazione, in antitesi con la natura intermedia, trasversale, proteiforme di molti di questi scrittori e delle loro opere, ci autorizza a introdurre anche un altro, più inquietante principio organizzativo: la realtà del fascismo.Giovanni Verga e` morto nel 1922, l’anno della marcia su Roma. Tutti gli altri hanno vissuto sotto il fascismo e sono stati toccati direttamente dalla sua eredita`. La più crudele delle manifestazioni del fascismo e` stata disumanizzare, trattare le persone come animali, o anche peggio. Il paradosso e` che, per raggiungere i propri obiettivi, sono stati proprio coloro che erano al potere a comportarsi come animali. Il fascismo e` stato declinato anche in modo linguistico, fino al punto di imporre un «italiano puro», privo di parole ed espressioni straniere. Sotto il fascismo, il croissant diventa un cornetto, il bar un quisibeve e il football, inventato dagli inglesi,calcio. Proibito persino l’uso del lei come forma di cortesia (contrapposto al voi), perché si riteneva fosse un prestito spagnolo, oltre che per il suono «femminile». Quando si parla di letteratura italiana del Novecento, non si può prescindere dalla questione linguistica. Il regime ha tentato di normalizzare e appiattire la lingua, di estirpare i dialetti e altre anomalie e, più di tutto, di chiuderla in se stessa. E` proprio in quell’epoca che gli scrittori italiani, o per lo meno un numero rilevante, si aprono provocatoriamente verso l’esterno. Tutto il Ventesimo secolo può essere considerato come uno scontro frontale tra il muro che il fascismo aveva tentato di erigere intorno all’Italia e alla sua cultura e le persone – tra cui molti degli autori qui presenti – che, pur correndo gravi rischi, erano determinate ad abbatterlo. I quaranta scrittori di questa antologia provengono da ogni parte del Paese, anche se devo ammettere che il mio legame con Roma e il mio amore per l’Italia meridionale hanno influenzato le mie scelte. Sono cresciuti in famiglie povere e ricche. Hanno avuto formazioni politiche diverse e gradi molto differenti di impegno politico. Sul piano stilistico, tutte le principali correnti sono rappresentate: realismo, neorealismo, avanguardia, fantastico, modernismo, postmodernismo. Alcuni hanno coltivato la propria fama letteraria, altri hanno fatto di tutto per sottrarvisi. Molti sono stati personaggi celebri, potenti, autorevoli. Qualcuno non ha mai visto le proprie opere pubblicate mentre era in vita. Se dovessi indicare un tema dominante, direi che e` la Seconda guerra mondiale. La scrittrice Cristina Campo la definisce «l’abisso che avrebbe spezzato il secolo»;4 ed e` effettivamente questa drammatica cesura a unire la grande maggioranza degli autori. Due sono stati prigionieri in campi di concentramento nazisti e un altro e` scappato durante la deportazione. Almeno una dozzina e` stata costretta a nascondersi, o perchè apparteneva alla Resistenza, o perchè ebrea. La Seconda guerra mondiale e le sue conseguenze hanno trasformato radicalmente e in modo irrevocabile la società italiana, permeando la coscienza collettiva, traumatizzandola, ma infine rivitalizzandola sul piano culturale ed economico. Il moltiplicarsi delle riviste letterarie nel dopoguerra, le iniziative e i progetti editoriali sempre più innovativi e lo spirito di comunità e collaborazione tra gli scrittori fanno sì che quel periodo sia oggi considerato come una sorta di eta` dell’oro della cultura letteraria italiana. Detto questo, e nonostante gli innumerevoli legami personali tra molti degli autori, l’antologia comprende alcune intense riflessioni sull’alienazione, l’isolamento, la solitudine. L’unico vero terreno a cui appartengono tutti gli autori e` la lingua italiana, essa stessa un’invenzione, definita da Leopardi «piuttosto un complesso di lingue che una lingua sola».5 E ` stata imposta a una popolazione linguisticamente e culturalmente diversificata intorno alla fine dell’Ottocento, quando le regioni d’Italia sono state unificate in nome dell’identità nazionale.
Le radici del racconto italiano moderno sono a loro volta ibride: insieme profonde e superficiali, straniere e «nostrane». Mentre lavoravo a questa antologia, la raccolta di Racconti italiani del Novecento curata da Enzo Siciliano per «I Meridiani» Mondadori e` stata una vera miniera di informazioni. Siciliano e` stato uno scrittore, critico e giornalista romano, ed e` diventato direttore di Nuovi Argomenti, importante rivista letteraria, dopo la morte del suo fondatore, Alberto Moravia. Esistono due versioni dell’antologia di Siciliano: una in un solo volume di più di millecinquecento pagine, senza note (nella quale figurano settantuno autori, pubblicata nel 1983), e una in tre volumi (con una nuova introduzione e un totale di novantotto autori, tra cui Siciliano stesso, pubblicata nel 2001). Nella sua introduzione, Siciliano fa risalire le origini del racconto italiano al Medioevo, al Novellino, raccolta anonima duecentesca che contiene episodi e personaggi biblici e della tradizione classica e medievale, al Decameron di Giovanni Boccaccio (composto probabilmente tra il 1349 e il 1351) e a Matteo Bandello, le cui Novelle cinquecentesche (ne scrisse più di duecento) potrebbero aver ispirato la trama della Dodicesima notte e di Molto rumore per nulla di Shakespeare attraverso una traduzione francese. Tra Bandello e Boccaccio non va dimenticato Masuccio Salernitano, a sua volta autore di un Novellino, pubblicato postumo, che tra i suoi cinquanta racconti ne annovera uno famoso per essere stato tra le fonti di Romeo e Giulietta. Ma che cos’è un novellino?, potrebbe chiedersi il lettore. E ` un libro che raccoglie varie novelle, termine che indica un racconto o una favola. Anche se Boccaccio scelse il titolo Decameron per il suo capolavoro, definisce «novelle» i racconti che contiene. Siciliano analizza la differenza tra «novella» e «racconto», termini in apparenza intercambiabili, entrambi contrapposti a romanzo. La parola racconto, di origine latina, è etimologicamente legata al verbo inglese recount: dire ancora. Obiettivo del racconto è trasmettere una storia, personalmente e deliberatamente, a un ascoltatore. Di conseguenza raconteur, termine francese entrato anche nella lingua inglese, si riferisce specificamente a una figura umana, un narratore, in particolare un narratore capace di sedurre i suoi ascoltatori. Lo spirito del racconto implica un rapporto dinamico, nel quale siano coinvolte almeno due persone; benchè distinto dal dialogo, indica una forma, immediata e di solito breve, di scambio. Nell’italiano contemporaneo, il verbo «raccontare» e` usato correntemente nelle conversazioni, quando le persone vogliono narrare qualcosa in modo naturale ma vivace, conferendo a questo termine letterario un’accezione quotidiana. La scelta della parola «racconti» nel titolo dell’antologia di Siciliano è di fatto una dichiarazione programmatica, che colloca questa forma in una linea decisamente moderna, nel solco di autori quali Guy de Maupassant, Gustave Flaubert e Čechov, distinguendo in tal modo il racconto dalla più tradizionale novella. Fuggevoli per natura, i racconti, nonostante l’inevitabile concisione e densità, sono infinitamente flessibili, aperti, indagatori, inafferrabili, tanto da suggerire che il genere stesso sia di natura fondamentalmente volubile, ibrida, persino sovversiva. Riferendosi ai numerosi Racconti romani di Moravia – una pietra miliare nella tradizione del racconto italiano novecentesco – Siciliano cita l’illuminante osservazione di Moravia secondo cui il racconto sarebbe un qualcosa che nasce da un’intuizione. Sono d’accordo. In un certo senso in Italia l’intruso, il genere d’importazione, e` il romanzo. Manzoni e Verga si sono rivolti ai modelli francesi e inglesi, Grazia Deledda ai russi, Italo Svevo alla tradizione mitteleuropea. Il romanzo, sostiene Moravia, è frutto della ragione ed è permeato dalla struttura narrativa, elementi per natura estranei al racconto. Genere profondamente italiano, il racconto ha prosperato per secoli e rappresenta, molto più del romanzo,un terreno di incontro e di scambio con la letteratura del resto del mondo. I volumi curati da Siciliano, quei mattoncini blu allineati sulla mia scrivania con i segnalibri in seta cuciti nella rilegatura, sono stati indispensabili nei miei viaggi avanti e indietro sull’Atlantico, e ne raccomando la lettura a chiunque desideri ampliare la propria conoscenza della forma breve. Il primo consiglio che darei a chi è in cerca di suggerimenti di lettura è di scorrere l’indice. Sfogliare quelle pagine significa provare il brivido di intravedere dall’alto la grande distesa dell’oceano, invece di navigare nelle acque più sicure ma in parte inesplorate della baia che ho delimitato qui.
Ogni lingua e` un’entità circondata da mura, e l’inglese può contare su fortificazioni particolarmente robuste. Uscire dal mondo anglofono significa rendersi conto del dominio pressochè totale della lingua inglese riguardo a ciò che oggi e` considerato letteratura. Si tratta di un dominio sul quale pochi, perlomeno dal lato inglese, si soffermano a riflettere. Sono consapevole del fatto che il mio attuale orientamento – guardare al di fuori della letteratura anglofona, riproporre autori che persino in Italia oggi sono trascurati – mi allontana dalle correnti letterarie dominanti, sia in Italia sia nel mondo anglofono. Mi colpisce il numero enorme di autori di lingua inglese esposti in bella mostra nelle librerie italiane e recensiti ogni settimana su quotidiani e riviste, cosı ` come la quantita` di premi, residenze e festival organizzati per ospitare e celebrare autori anglofoni. Io stessa ho partecipato con grande piacere ad alcuni di questi eventi, premi e residenze. Tuttavia, la discrepanza e` evidente. Non si puo` ignorare il fatto che per piu ` di un secolo gli scrittori italiani, nel bene e nel male, hanno cercato ispirazione al di fuori dei confini del loro Paese, e che la solida tradizione di traduzioni dall’inglese, almeno per conto degli editori italiani, ha influenzato in maniera cruciale il panorama letterario. Dei quaranta racconti, sedici non erano mai stati tradotti in inglese prima d’ora, e nove sono stati ritradotti per l’edizione inglese. Di questi quaranta, molti sono stati ignorati e di conseguenza quasi dimenticati persino in Italia. Gran parte delle riviste in cui questi racconti sono stati pubblicati per la prima volta non esiste più. C’e` stato un periodo, in particolare dopo la Seconda guerra mondiale, in cui le piccole riviste letterarie, molte delle quali fondate dagli scrittori qui presenti, hanno goduto di grande fortuna. Alcune hanno avuto vita breve ma un impatto editoriale clamoroso. Ognuna incarnava una speranza, un indirizzo particolare, un clima culturale o un punto di vista nuovo. Queste riviste hanno dato grande risalto ai racconti. La loro esistenza corrisponde a un periodo di eccezionale fermento letterario, e il oro direttori si vantavano di promuovere voci nuove, eterodosse. Tale fenomeno e` la dimostrazione che i racconti pubblicati individualmente, fuori dai meccanismi economici dell’editoria libraria, sono per definizione testi autonomi: una sacca di resistenza, un modo per sperimentare la creatività, anche correndo qualche rischio. Per fortuna, ci sono ancora scrittori italiani di talento che praticano la forma del racconto, e ogni tanto, in Italia come altrove, una raccolta di racconti riesce a intrufolarsi nella selezione di un premio letterario nazionale. Un altro segnale incoraggiante e` la nascita, nel 2016, di Racconti Edizioni, casa editrice romana che si dedica a pubblicare raccolte di racconti. Fino a poco tempo fa, in Italia le scuole di scrittura creativa erano una rarità. Di recente il loro numero e` cresciuto, anche se rimangono slegate dalle istituzioni accademiche. Le espressioni «scrittura creativa» e «storytelling» sono entrate nel vocabolario corrente, ma il loro significato rimane in parte avvolto nel mistero, e sono percepite, non a torto, come un fenomeno straniero. Ciò che è accaduto negli Stati Uniti e, in misura minore, anche in Gran Bretagna– il regno del Master of Fine Arts, grazie al quale il mestiere di scrivere diventa un corso di studio accademico, ossia del matrimonio d’interesse tra arte e università –, in Italia non si e` ancora realizzato pienamente, di conseguenza la maggior parte degli scrittori italiani orbita in torno a un altro centro di gravità, che sia il giornalismo, l’università o l’editoria o, in alcuni casi, tutti e tre. In Italia la separazione tra scrittori e editori e` meno rigida, e l’ambiente editoriale, più intimo, meno aziendale che in America, può a sua volta vantare una storia appassionante. Studiarne l’evoluzione e le dinamiche e` fondamentale per capire come e perchè in Italia si siano scritti così tanti racconti nel secolo scorso, e in stili tanto diversi. La Cronologia alla fine di questo volume si muove su due piani: fornire un quadro degli eventi storici e politici che fanno da sfondo alle vite di questi scrittori, senza tuttavia trascurare la storia dell’editoria italiana. Mentre il mio lavoro su questo progetto si avvicinava alla fine, in Italia si votava per eleggere un nuovo governo. I partiti xenofobi guadagnano consensi e si diffonde la violenza neofascista nei confronti degli immigrati, mentre il governo si ostina a negare la cittadinanza ai figli di genitori stranieri nati in Italia. Nonostante questa realtà inquietante, l’Italia e` diventata la mia seconda casa, e gli italiani hanno per lo più accolto con calore i miei sforzi di esplorare la loro letteratura e cimentarmi nella loro lingua con la sensibilità di chi viene da fuori. A dispetto di chi vuole chiudere le frontiere e creare un Paese in cui vengano «prima gli italiani», l’identità dell’Italia – compresa la definizione stessa di «italiani» – si sta trasformando radicalmente, e la letteratura, da sempre aperta agli influssi esterni e arricchita da questi cambiamenti, continua a sperimentare strade nuove.
La lingua e` l’essenza della letteratura, ma e` anche ciò che la rinchiude in se stessa, relegandola nel buio e nel silenzio. La traduzione e` l’unica soluzione possibile. Questo libro, che celebra le figure di così tanti scrittori-traduttori, e` sia un omaggio ai racconti italiani, sia una conferma della necessità –estetica,politica, etica – dell’atto di tradurre. Nel tradurre sei di questi racconti in inglese, ho raddoppiato il mio impegno in questo senso. Soltanto le traduzioni possono allargare l’orizzonte letterario, aprire le porte, abbattere i muri. Ho disposto i racconti in ordine alfabetico inverso, in base al cognome degli autori. Una scelta arbitraria, certo, ma che per una fortunata coincidenza ha fatto sì che il libro si apra con il nome di Elio Vittorini. Nel 1942 Vittorini ha pubblicato Americana, un’antologia di trentatrè autori americani pressoché sconosciuti, tra cui Nathaniel Hawthorne, Henry James e Willa Cather. Non si trattava pero` di una semplice raccolta: e` stata un’imponente impresa di traduzione collettiva, alla quale hanno contribuito alcuni dei più importanti scrittori italiani del tempo, come Moravia, Pavese e Montale. L’obiettivo di Americana era far conoscere al pubblico italiano le grandi voci della letteratura statunitense. Perché nell’immaginario di molti italiani di quella generazione, l’America era anche una proiezione favolosa: una terra leggendaria simbolo di giovinezza, ribellione, libertà e futuro. Ma quella proiezione, o per lo meno la versione di Vittorini, non era un’evasione dalla realtà, bensì l’espressione di un dissenso creativo e politico, un tentativo eroico e coraggioso di stabilire, attraverso la letteratura, un legame con un mondo nuovo. La prima edizione di Americana, in pubblicazione per Bompiani, e` stata messa all’indice dal regime mussoliniano. Ha superato il vaglio della censura soltanto dopo che Vittorini ha rimosso le sue osservazioni critiche sugli autori ed e` stata inserita un’introduzione di Emilio Cecchi, critico in buoni rapporti col governo fascista. Sfogliare oggi quel volume, lungo più di mille pagine,equivale ad attraversare un ponte a dir poco rivoluzionario. Vittorini è stato il mio faro mentre lavoravo a questo libro.
Mi sono ispirata a lui scrivendo le brevi biografie degli autori – concepite come abbozzi parziali, e non come interpretazioni conclusive – che introducono i racconti, ed e` in omaggio a lui e alla sua fondamentale antologia – alla volontà di celebrare le opere di colleghi lontani, di rivolgere lo sguardo al di fuori dei confini e trasformare l’ignoto in qualcosa di familiare – che propongo questo mio contributo.
Roma, 2018
Tutti i diritti riservati.© 2019 Gunda Editore