La Gioia! di Annie Vivanti letta da Lidia Ravera

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La nuovissima e sofisticata casa editrice Fve, pubblica Gioia! di Annie Vivanti, riproponendo ai lettori italiani una voce essenziale del nostro panorama letterario. Sono otto i racconti di Gioia!, un testo ricco di colpi di scena che incalza continuamente i lettori e le lettrici esortandoli a non fermarsi alle apparenze. Con lo stile diretto ed esuberante che la contraddistingue, Vivanti fa emergere tutta la complessità e le sfumature dei rapporti umani, e ce le restituisce nella loro versione più sincera.

Cattedrale vi propone la prefazione di Lidia Ravera, per gentile concessione dell’editore.

di Lidia Ravera

Mentre leggevo i racconti raccolti in Gioia! di Annie Vivanti, sottolineavo e ridevo, anche se sarebbero due azioni che si escludono a vicenda. Mi tormentava, e mi tormenta, uno stupore, una domanda: come è possibile che tutto questo consapevole brio, tutta questa modernissima leggerezza, questo senso quasi di superiorità di genere, quest’ironia pungente, appartengano ad una scrittrice vissuta nei primi decenni del secolo scorso, una ragazza del 1886? Leggevo e rileggevo certe frasi: “Strano a dirsi, si è sempre inclini a credere che felici siano gli altri. Per i bambini sono felici i grandi. Per i grandi sono felici i bambini. Quest’ultima asserzione, pur così abituale, è falsa anch’essa. I bambini non sono felici perché non sanno di esserlo. E prima condizione della vera felicità è la consapevolezza”.
Che sicurezza, pensavo, che talento per la conversazione: la fa semplice, come se fossimo tutte insieme sedute al caffè, io lei e le altre, non è mai complicata, come chi vuole essere letta da tutti, ma complessa sì, complessa e profonda. Il racconto si intitola Lezioni di felicità e, protetta dal tono scherzoso, insegna a non patteggiare troppo con il destino, prendere quello che viene e farselo piacere. “Lei” c’è sempre, lei Annie, in ogni novella. E con lei ci sono un’amica, un amico, un amante, un poeta, una regina, un cavallo, un passante, l’ultima vittima di Landru, una formica Punzaiola… è un mondo, quello di Gioia!, abitato da creature che prendono vita quando vengono scrutate dall’occhio attento della scrittrice. Non si tratta di autobiografia, ma di storie che l’autrice ha incontrato sul suo cammino, celebrando la quotidiana magia del vivere. E che condivide allegramente. Senza niente di monumentale o autocelebrativo. “Ero brutta, so che ero brutta iersera. Alice mi pettina esecrabilmente. Mi fa una testa che pare una ‘pagnotta Garibaldi’. La licenzierò. Farei bene ad andare in campagna per un mese a curarmi i nervi e la carnagione, contro i primi soli di febbraio non c’è di meglio che la crema Hazeline coll’acqua di rose e alcune gocce di tintura di benzoino”. «Cosmopolitan» d’epoca? Macché. La frase è contenuta nel racconto che dà il titolo alla collezione Gioia!, e che, come promette il sottotitolo Un idillio in sei mesi, analizza, dando voce ai due punti di vista, quello di lui e quello di lei, il nascere, il montare e il disfarsi d’una storia d’amore. È l’intelligenza femminile, audace e puntuta, al lavoro sui sentimenti: in poche pagine affossa un’intera poetica, il romanticismo, con le sue beate illusioni. Ci si innamora così e così… poi ci si disamora. È questo che mi incanta, nella voce di Annie Vivanti: non compiace il lettore in cerca di consolazione erotica, ma smonta e rimonta le dinamiche, sempre uguali e sempre diverse, della relazione fra l’uomo e la donna, con furia iconoclasta e un costante sorriso da monella. Questa volta si tratta dell’idillio fra uno scultore e una scrittrice dalla risata irresistibile. È lei che conduce il gioco, ed è lei che ne rimane schiacciata. E lei è “Lei”: Anna Emilia Vivanti, nata in Inghilterra, dove il padre, rivoluzionario mazziniano ha dovuto riparare, per evitare la galera. “Lei”: vissuta nel Regno Unito e in Italia e negli Stati Uniti e in Svizzera. “Lei”, poliglotta e giramondo, che cavalca come un fantino professionista, che scrive poesie in italiano e una decina di romanzi in inglese. “Lei”, autrice di best seller e tuttavia amata dalla critica (oggi sarebbe quasi impossibile, soprattutto per una donna). “Lei”, che viene recensita e studiata da personaggi del calibro di Benedetto Croce. “Lei” che alla prima raccolta di poesie giovanili, riceve la prefazione e la benedizione di Giosuè Carducci, facendolo innamorare (ha 24 anni, lui ne ha 55). “Lei” che è letta da tutti, colti e incolti, borghesi e popolo. “Lei”, che cambia identità scegliendosi di volta in volta una patria o un’altra. Annie Chartres Vivanti nel Regno Unito, maritata con John Chartres, attivista di Sinn Fein, il movimento indipendentista irlandese impegnato nella lotta di liberazione dall’Inghilterra. Annie Vivanti in Italia, dove si avvicina, sull’onda del comune odio per l’Inghilterra (ha affiancato il marito nella lotta per l’indipendenza dell’Irlanda) a Mussolini e al Fascismo. “Lei”, che dal fascismo, nel 1941, viene mandata al confino perché nata comunque nella “Perfida Albione” ed è Mussolini stesso che deve intervenire per salvarla. “Lei” che mette al mondo una bambina prodigio, violinista a sette anni e poi artista di fama internazionale, e la racconta in due romanzi La vera storia di una bambina prodigio e I divoratori, analizzando anche le ricadute drammatiche dell’eccesso di talento. “Lei” che deve sopportare l’insopportabile: quando, avvelenata dalla sua stessa precocità e dal dono inestimabile del genio musicale, la figlia violinista muore suicida, nel 1941. A 48 anni. “Lei” che muore un anno dopo sua figlia. E chissà se è riuscita a difendersi dal dolore, almeno parzialmente, in quell’ultimo anno di vita, mantenendo il suo straordinario sorriso: provocatorio e tuttavia volonteroso. Un sorriso da dominatrice dei sentimenti che, nell’epoca in cui è vissuta, non era patrimonio comune delle donne. Oggi, sì. Non del tutto, ma molto di più. Oggi noi donne sappiamo ridere. Di noi stesse e degli uomini. E questo ci mette al riparo dall’aggressività di un patriarcato che, in crisi da decenni, non riesce a morire. Ma nel 1891 (quando uscì il suo primo romanzo), all’inizio del 900, una donna che combatteva ridendo, era una assoluta rarità, un pezzo unico. Annie Vivanti dunque è “una di noi”, nella scrittura e nella costruzione narrativa e nella capacità di mancare di rispetto a Padri e Padroni, e questo mi ha colpita fin dalle prime righe. Me la sono spiegata con il cosmopolitismo, la modernità. Ma poi mi sono detta, no, Annie non è un personaggio da jet set (anche se Giosuè Carducci le ha regalato un cavallo), è piuttosto una sradicata di lusso. La perseguita e la illumina un continuo senso di non appartenenza. Le piace la poesia di Heine, assorbe gli echi dell’ultima Scapigliatura (contro il romanticismo italiano alla Manzoni, a favore del nascente naturalismo francese con un pizzico di maledettismo alla Baudelaire) ma senza aderire al movimento. L’assidua frequentazione di Carducci la rende impermeabile a D’Annunzio e alle pompe dei suoi adoratori. Lei legge, va in giro curiosando, apprende, però se ne sta per conto suo. I racconti che compongono Gioia! sembrano cogliere sempre l’attimo, il qui e ora, la freschezza delle prime impressioni. Come i bambini, nei 75 anni della sua vita (parecchi per l’epoca), Annie Vivanti non smette mai di onorare il presente. Con il coraggio di chi è capace di non guardare mai indietro. E neppure troppo avanti.