L'approdo. Il rapporto tra case editrici e riviste



di Modestina Cedola

A chi cerca consigli su come arrivare a pubblicare il proprio libro, google offre 84.600 risultati. Blogger, editor, articolisti, scrittori (aspiranti e non), forum, gruppi Facebook, giornalisti, ognuno pronto a condividere i suoi preziosi consigli e a svelarvi i retroscena dell'inaccessibile mondo editoriale. La cosa su cui tutti concordano è che non esiste un'unica strada per la pubblicazione. Una mail che attira l'attenzione nella casella di posta elettronica strabordante di manoscritti. Un corso di scrittura. Un premio letterario. Un amico lettore che vi segnala alla persona giusta. Un romantico invio attraverso il postino. Un progetto creativo online. Una partecipazione a un concorso. Un racconto su una rivista letteraria.

Le variabili sono infinite. Le circostanze alle volte ci mettono lo zampino. Il testo è l'unica vera determinante.

In particolare, negli ultimi anni, sulla scia dei primi anni duemila, si è fatta sempre più strada l'idea che scrivere racconti su riviste letterarie sia il passo certo per l'approdo in editoria. Complici alcuni preziosi consigli di Vanni Santoni e Matteo B. Bianchi ascoltati male o recepiti solo in maniera parziale, si è diffusa la convinzione errata di un legame diretto tra la pubblicazione in rivista e la pubblicazione editoriale, dando per scontato una sorta di propedeuticità delle riviste. Confinandole nell'anticamera dell'editoria. Errore che coinvolge indistintamente una parte dell'editoria, aspiranti scrittori e scrittrici e anche alcune riviste. Dimenticando che chi dall'esperienza in rivista è arrivato a pubblicare (esistono, sono un bel numero anche se marginale rispetto al totale delle pubblicazioni in Italia), nella maggior parte dei casi ha scritto in riviste attente alla creazione di un proprio linguaggio e con una linea editoriale originale improntata alla sperimentazione. Interessanti a questo proposito le esperienze di Luciano Funetta, Maddalena Fingerle e Alfredo Palomba. Altro esempio illuminante in questo senso è il Premio Campiello Opera Prima. Francesca Manfredi, Valerio Valentini, Marco Lupo e Veronica Galletta hanno in comune non solo la vittoria del premio ma anche i trascorsi in diverse riviste letterarie. Quattro vincitori provenienti da riviste letterarie nelle ultime cinque edizioni rimane al netto di false illusioni una circostanza notevole. Ci tengo a sottolineare che gli scrittori e le scrittrici citate finora non hanno all'attivo solo la pubblicazione su rivista ma hanno ampliato e incastrato una serie di esperienze per trovare la loro voce e renderla riconoscibile e vicina ai loro lettori.

Ma esiste, dunque, un legame diretto tra riviste letterarie e case editrici?

Scrivendo questo articolo ho pensato sarebbe stato utile avere un piccolo campione da intervistare. La speranza era di poter attingere a un campione più vasto, purtroppo, e non sarà una novità,  alcune delle mail che ho inviato non sono andate a buon fine. Per fortuna, non era la vastità del campione ad interessarmi ma la possibilità di avere delle esperienze diverse da poter raccontare. Per questo ringrazio infinitamente Graziano Gala (Sangue di Giuda, minimum fax), Valentina Maini (La mischia, Bollati Boringhieri), Paola Moretti (Bravissima, 66thand2nd), Gianluca Nativo (Il primo che passa, Mondadori), Claudia Petrucci (L'esercizio, La Nave di Teseo), Francesco Spiedo (Stiamo abbastanza bene, Fandango), Alfredo Zucchi (La memoria dell'uguale, Polidoro editore), le case editrici effequ e Wojtek e le agenzie letterarie Otago e Pastrengo.

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Minimo comun denominatore le riviste letterarie.

Degli intervistati quanti effettivamente sono stati contattati direttamente da una casa editrice che è rimasta colpita dai loro racconti?

Alla mia domanda solo Valentina Maini e Claudia Petrucci hanno risposto affermativamente. Paola Moretti, invece, pur non avendo ricevuto nessun tipo di contatto diretto con le case editrici è riuscita ad incuriosire alcune agenzie letterarie con i suoi racconti sulle riviste. Esperienza confermata anche dall'agenzia letteraria Pastrengo, a sua volta fondatrice di una rivista letteraria di racconti brevi, che privilegia lo scouting su riviste letterarie per scandagliare nuove voci. Dello stesso avviso anche Otago per i quali “è un buon modo per leggere voci nuove e, peraltro, già sottoposte al filtro di una redazione, quindi è una ricerca più facile rispetto all’andare a pescare fra le migliaia di proposte che arrivano via email”.

Per Graziano Gala “la scrittura su riviste è stata propedeutica. Io penso che senza la radiocronaca di un diretto Lecce-Milano comparsa su Inchiostro di Puglia non ci sarebbe stata minimum fax, credo che quel racconto lì in qualche modo mi abbia cambiato i corridoi di camminamento. Allo stesso modo penso sia stata fondamentale la finale di Verde rivista, tenuta proprio nella sede della casa editrice: le riviste italiane sono sacrosante, bisognerebbe trattarle meglio e tenerle in gran conto”.

E le case editrici intervistate, invece, come si pongono nei confronti delle riviste letterarie? Per Wojtek essere lettori di riviste letterarie è fondamentale. “Siamo stati influenzati moltissimo dalle pubblicazioni di Crapula e di Verde, da lettori, trovavamo un’urgenza e un’autenticità difficilmente riscontrabile in proposte letterarie a volte un po’ ingessate”. Dello stesso avviso effequ che le definisce il loro osservatorio principale sia per la saggistica che per la narrativa.

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Prendendo in considerazione la mole di lavoro delle case editrici e della corposa produzione con cui sono bersagliate da aspiranti scrittori e scrittrici, è plausibile che non riescano ad essere in maniera costante ed approfondita aggiornate sulle riviste letterarie. Anche quando la rivista letteraria non diventa un tramite diretto per attirare l'attenzione, mi chiedo se, come esperienza, abbia una qualche rilevanza per le case editrici una volta acquisito il proprio esordiente. Alfredo Zucchi mi dice che è stato rilevante averne fondato una “Antonio Russo De Vivo, con il quale ho co-diretto Crapula per anni, mi segnalò a un agente, Antonia Santopietro, con cui Antonio, tra il 2016 e il 2017, aveva cominciato a collaborare. Questo incontro mi ha permesso, con qualche fatica, di trovare un editore per La bomba voyeur. Una cosa simile è accaduta con un libro di saggi che dovrebbe uscire a settembre: le stesse persone mi hanno aiutato a trovare collocazione per un testo che altrimenti sarebbe rimasto sepolto”. Spesso nella bolla editoriale si sente parlare di nomi che girano, “il mio editor mi sfotte bonariamente perché mi si trova(va) ovunque“ scherza Paola Moretti che continua a raccontarmi il suo arrivo alla pubblicazione: “per l’incontro con la mia casa editrice è stato determinante un concorso indetto da 66thand2nd a cura di effe (ndr. rivista letteraria)“.

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Francesco Spiedo, al telefono, mi svela che per alcune case editrici avere pubblicato su rivista è la prova che hai dimestichezza con molte delle cose editoriali o, almeno, che non sei uno sprovveduto in questo senso. Percezione che mi conferma anche Pastrengo: “dipende da casa editrice a casa editrice. In linea di massima, un autore che ha già pubblicato in rivista è un profilo tenuto un po’ più in considerazione rispetto a un esordiente assoluto, soprattutto se, nel tempo, è riuscito a crearsi un suo piccolo pubblico di riferimento. Ma non c’è nessun legame diretto tra pubblicazione in rivista e pubblicazione editoriale. Il vero discrimine lo fa sempre il testo che si va a presentare alla casa editrice: se il romanzo è buono o se non è buono”.

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Per molti scrittori e scrittrici le riviste letterarie rappresentano l'inizio della loro storia seria con la scrittura. Confrontarsi con la pagina, con se stessi, con una redazione, con un editing e con un pubblico. Avere la possibilità di scambiarsi esperienze con altri scrittori, allenare la capacità di affrontare uno sguardo altrui e di lasciare andare le proprie storie. Molti affermano che senza di loro non avrebbero mai cominciato a scrivere un romanzo o a credere di poterlo fare. Per Graziano Gala è “una questione di formazione umana: quando si riceve un editing da una rivista, una proposta al cambiamento o al miglioramento del testo bisogna essere felici, inginocchiarsi e ringraziare. È lì che si cresce, che si gettano i semi: nell’emendare, nel migliorare, nel cambiare porzioni di testo e rimescolarle. Personalmente devo dire grazie a Risme: stavo per mollare tutto, loro accettando un mio racconto mi diedero la forza di perseverare. Tante cose sono accadute – ne sono convinto – grazie a quel racconto”.

Sia Wojtek che effequ guardano attivamente al mondo delle riviste. Molte delle persone da loro pubblicate sono state scelte perché i loro scritti online avevano colpito gli editori. Oltre ai romanzi pubblicati, entrambe le case editrici hanno scelto nelle loro antologie scrittori e scrittrici scoperti grazie alle riviste letterarie (per effequ “Odi”, “Future” e “Circospetti ci muoviamo” in uscita a luglio 2021; per Wojtek “Vocabolario minimo delle parole inventate” a cura di Luca Marinelli).

Farsi un nome, come dicevamo prima, con i racconti pubblicati sulle riviste letterarie per poi esordire nella maggior parte dei casi con un romanzo, è un pensiero che sfiora un po' tutti gli attori di questa commedia. Sembrerebbe, così, che anche ai racconti venga assegnato il ruolo di palestra. Cominciare con la forma breve per prendere poi sicurezza verso la forma lunga dimenticando però che il racconto prevede delle sue complessità specifiche.

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Chissà se avrà provato a proporre una raccolta di racconti? È una delle mie curiosità più frequenti quando apprendo di uno scrittore o di una scrittrice, di cui ho letto racconti sulle riviste letterarie, che sta per pubblicare un romanzo con una casa editrice. Sarà una libera scelta di chi scrive separare le riviste dal percorso editoriale o sono le case editrici restie alla pubblicazione dei racconti a influenzare, magari anche indirettamente, le proposte? Rischiando di passare per indiscreta ho sottoposto a tutte le persone intervistate la questione. Graziano Gala confessa un tentativo “Sì, ma in condizioni che con il senno di poi definirei davvero poco propizie. È stata un’esperienza formante, come tutte, ma mi piacerebbe rifarla in condizioni altre, ecco”. Gianluca Nativo svela un atteggiamento diffuso in editoria senza però chiudere la porta a nuove possibilità: “prima del romanzo, avevo proposto una mia raccolta di racconti solo a piccoli editori che in catalogo avevano già pubblicato raccolte di racconti di autori italiani. L’interesse c’era ma il lavoro era molto lungo e soprattutto limitato a pochi editori. In molti mi hanno consigliato, se interessato alla pubblicazione, di lavorare su un romanzo: avrebbe reso le cose più facili. E così è stato. Lavorare sui racconti però ti permette di dialogare con un settore sì ristretto, ma con una dedizione che difficilmente troveresti nel resto dell’editoria”. Paola Moretti si sofferma, invece, sulle difficoltà dello scrivere una raccolta di racconti: “Non ho mai proposto una raccolta di racconti perché in tutta franchezza trovo difficilissimo comporla! Ci sto provando da anni, nei buchi tra un progetto e l’altro e nei periodi di calma, ma un conto è scrivere un buon racconto che deve stare da solo in mezzo a tanti altri racconti eterogenei, un altro è scrivere dieci-dodici racconti buoni che devono coesistere, quindi essere legati da un seppur fatuo qualcosa, in una raccolta di cui si è l’unica autrice. Mi piacerebbe riuscirci prima o poi, ma per ora niente mi sembra mai buono abbastanza. Credo che tra tutti i racconti che ho scritto negli ultimi cinque anni solo tre li pubblicherei senza remore. Magari tra 15 anni arrivo ad averne 12!”. Claudia Petrucci mi confida “No, non ancora. Ho una raccolta in cantiere ma, idealmente, dovrebbero precederla altri due romanzi – perché ho deciso così”. Per Francesco Spiedo la notizia dell'interessamento di Fandango è arrivata mentre stava lavorando ad una raccolta di racconti che ha momentaneamente accantonato ma che vorrebbe riprendere in un futuro. Alfredo Zucchi ha pubblicato la sua raccolta di racconti dopo aver esordito con un romanzo (La bomba voyeur, Rogas Edizioni). “Il manoscritto di La memoria dell’uguale è stato richiesto in lettura da qualche editore nel tra il 2018 e il 2019. Prima di incontrare – felicemente – Polidoro, credo che almeno uno di questi editori lo abbia effettivamente letto. L’incontro con Polidoro, per il tramite di Antonio Esposito, è stato invece mediato sia dalla mia previa esperienza su rivista, sia dalla mia incipiente esperienza nella redazione di Wojtek Edizioni”. Allargo la visuale per capire i margini di una eventuale proposta di pubblicazione in editoria per una raccolta di racconti a Pastrengo: “Nel panorama editoriale attuale, le case editrici di qualità interessate alle raccolte di racconti sono davvero poche. Al netto di qualche illustre eccezione, per un’agenzia letteraria è molto complicato lavorare su una raccolta, soprattutto se l’autore in questione non è un nome già noto. Anche noi, che siamo grandi amanti del genere, dobbiamo andare con i piedi di piombo e accettare di lavorare solo su raccolte che ci colpiscono in pieno. Proprio in virtù di questa situazione siamo davvero orgogliosi del nostro Giuseppe Zucco, che ha pubblicato a inizio 2021 la raccolta I poteri forti con NNE”.

Sull'antica questione della diffidenza editoriale nei confronti dei racconti entra a gamba tesa Otago: “va considerato, e non si può non farne i conti, che se gli editori preferiscono i romanzi alle raccolte di racconti, è più probabile che riusciremo a vendergli un romanzo piuttosto che una raccolta di racconti. Questo è giusto che l’autore lo sappia, ma non dipende da noi, dipende da quello che gli editori vogliono pubblicare. Eh sì, per il momento mi pare sia ancora così: gli editori preferiscono pubblicare romanzi che racconti”.

Parlando con loro mi accorgo che a molti piacerebbe poter pubblicare una raccolta di racconti anche se consci delle difficoltà sia creative che editoriali che un lavoro del genere comporta. Faccio mio un piccolo sogno di Graziano Gala “Mi piacerebbe un giorno ci fosse una collettanea di racconti scritti da quell’intera generazione partita dalle riviste in questi anni: lo han fatto quelli di Wojtek a curatela Marinelli, chissà che non possa ricapitare. Una sorta di Qualità dell’aria in presa diretta, volta a capire dove stanno finendo i confini”.

Personalmente, pur non considerando le riviste come propedeutiche alla pubblicazione, mi capita spesso di leggere autori e autrici e immaginare di ritrovarli tra gli scaffali delle librerie. Penso a Riccardo Meozzi e alla sua eleganza nella costruzione della prosa. Agli intrecci tra lingua italiana e dialetto di Noemi De Lisi. Alla capacità di Stella Poli di raccontare le emozioni. Alla scomodità che mi dà leggere Alessio Mosca. Alla facilità che ha Sharon Vanoli di giocare con le parole. Alla vivacità di Giulia Sara Miori (proprio nel Giugno del 2021 Racconti Edizioni ha pubblicato la raccolta di Giulia Sara Miori ‘Neroconfetto'. [n.d.r]) Alle storie di Riccardo Dell'Aquila capaci di trasportarti lontano. Alla maturità di Rachele Salvini.

Chissà se qualcuno nella bolla editoriale si sta già occupando di loro. Chissà se un giorno scriveranno un romanzo o una raccolta di racconti.