Cane da petrolio, di Rick Bass

Autore: Rick Bass
Titolo: Cane da petrolio
Editore: Mattioli 1885
Traduzione: Silvia Lumaca
pp. 230 Euro 16,00

di Debora Lambruschini

E molti anni dopo, quando le loro vite erano già separate, aveva creduto che ci fosse qualcosa nel suono, negli armonici di quel fiume devastato, che si legava all’abilità che aveva Annie di amare e di provare piacere nel farlo, che liberasse qualcosa dentro di lei, trasformando, grazie a un’antica alchimia, la bellezza invisibile in bellezza manifesta.
(“Pagani”, p. 15)

 

Disclaimer o dichiarazione d’intenti: se è vero che una riflessione critica deve essere svincolata dallo sguardo soggettivo e dal sentire personale di chi la sviluppa, in certi casi ancorarsi al dato oggettivo diviene pressoché impossibile. Ecco, quindi, che non tenterò nemmeno di fingere: la mia lettura di Rick Bass si poggia su una stratificazione di letture, ricerche, studi accademici in area americanista, ma è soprattutto saldamente personale, emotiva. Perché proprio con i racconti di Bass? Che cosa c’è di diverso dalle altre innumerevoli letture e riflessioni sulla narrativa nordamericana? Le ragioni sono tutte nei luoghi evocati in questi dodici magistrali racconti, tradotti da Silvia Lumaca per Mattioli 1885 – che sta arricchendo il proprio catalogo con vere gemme letterarie di autori statunitensi, e in quella netta, seppur arbitraria, divisione che da sempre caratterizza la narrativa d’oltreoceano: lo spazio urbano, la città e, all’opposto, le piccole comunità, le terre selvagge, la natura. È nell’America rurale, nelle storie di provincia, nelle piccole città o nelle terre selvagge, che personalmente credo si muovano le voci più interessanti e oneste. Rick Bass è un autore dell’Ovest e, come tale, questo preciso ambiente ne pervade ogni pagina; l’ambiente in cui si muovono i suoi personaggi – città fantasma, il bayou, terre selvagge, piccoli centri – è parte integrante non della storia ma delle persone stesse, nella finzione quanto nella realtà. È in base all’ambiente che gli uomini e le donne di Bass – che costituiscono il vero centro nevralgico della riflessione letteraria – compiono le proprie scelte e vivono un certo tipo di vita, un quotidiano che talvolta appare lontanissimo per il lettore da questa parte del mondo, ma che diviene, nelle mani del narratore, così tangibile e vero da riuscire a percepirne gli odori, il ghiaccio o l’aria satura di umidità, le tradizioni, la vita tutta. Tra il Texas, Mississipi, Utah, Montana, le foreste e i laghi ghiacciati, il bayou e i serpenti, Bass dispiega le storie di questi uomini e di queste donne le cui vite sono tanto profondamente intrecciate allo spazio entro cui si compiono, in modi che altrove è difficile immaginare. Luoghi attraversati nella prima vita di Bass, ex geologo petrolifero, al centro oggi della sua riflessione ambientale e autoriale, membro di una piccolissima comunità con meno di quattrocento anime.

Cane da petrolio è composto da dodici storie fissate in un tempo dai contorni quasi sempre sfumati, un Novecento pretecnologico che contribuisce a creare l’epica della narrazione. Un’epica quotidiana, costruita mediante una narrazione in equilibrio tra l’asprezza del lavoro, delle condizioni ambientali, i silenzi, le profonde solitudini, e la parola che si fa ora lirica ed evocativa, ora asciutta e ruvida. È qui, nella stratificazione del testo, nei contrasti perfettamente intrecciati, che si compie il miracolo della scrittura, lo sguardo del narratore a raccontare uomini e donne a un passo da un cambiamento, da una svolta possibile, di cui non ci mostrerà gli effetti, perché non è quello che conta. Ciò che importa è raccontare quell’istante, il dubbio, il mutamento. Nel farlo, Bass tratteggia personaggi umanissimi e dolenti, tormentati dall’incertezza, talvolta dalla malinconia e dalla solitudine. In città semi deserte, in condizioni ambientali difficili, nel pericolo, nelle attese, nell’asprezza del quotidiano, sono le connessioni umane mancate o perdute a creare lo smarrimento più doloroso e tragico e quando le distanze sono colmate, ecco che per un breve attimo un lampo di luce irradia la pagina, la vita.
Centro nevralgico della narrazione, quindi, sono le relazioni umane, con le loro complessità, le attese e le mancanze. Spesso sono connessioni mancate, vite che si sfiorano appena ma non riescono davvero a intrecciarsi: la maratoneta e l’uomo ingaggiato per proteggerla dagli orsi durante gli allenamenti, l’intimità che si crea attraverso i corpi, i fuochi controllati, come loro (“Fuochi”); tre ragazzini, l’età incerta tra infanzia e adolescenza, la scoperta dei sentimenti e del corpo, con il timore del cambiamento, inevitabile

 

“Possiamo… si può…?” Restare gli stessi, voleva dire, ma non lo fece. […] E per un po’ furono tanto sciocchi, e tanto ottimisti, da credere che quella cosa non avesse importanza, che sarebbero potuti tornare nel vecchio posto, persino che il vecchio posto sarebbe stato meglio di qualsiasi altro nuovo posto futuro. (“Pagani”, p. 30)

 

O, ancora, storie del passato evocate durante un blackout, e l’attesa di un ritorno (“La storia di Rodney”); una comunità a prevalenza mormone, la nascita del sentimento, lo spazio ristretto delle possibilità e desideri futuri, la rinuncia (“Nel paese di Ruth”).
Il misticismo di cui sono intrise certe storie assume contorni onirici, sospese tra realtà e fiaba, a sostegno di una narrazione fatta di contrasti, dove talvolta è uno sguardo esterno a interrogarsi sul mistero delle relazioni:

 

C’era una completezza in lui che non si vede in giro molto spesso. Era amorevole e gentile con Amy, e io mi sono spesso meravigliato, nel corso degli anni in cui ci siamo frequentati, di come sembrava sempre pensare a lei, di come ogni suo gesto sembrasse sempre essere dettato da ciò che pensava avrebbe potuto farle piacere. Ed ero impressionato anche dai modi semplici e rilassati che aveva con lei. Quand’erano insieme sembravano sempre una giovane coppia: inviolati dal mondo,
e freschi come quel pane.
(“Cigni”, p. 199)

 

Ma il mondo, la vita, questo spazio lo viola, si insinua nelle esistenze di Amy e Billy, rompe l’equilibrio costruito e si insinua nella loro casa ai margini del bosco, pervasa dal calore dei tanti focolari accesi, dalle note del piano costruito per lei sulle sponde del lago dei cigni e che attraversano il bosco, fino ad altre case, altre vite, più solitarie, meno esposte al dolore. Anche stavolta, Bass ci mostra la frattura, l’attimo che precede il cambiamento, di cui intuiremo forse le conseguenze, le scelte da compiere; ma è tutto in quell’istante il fulcro della narrazione, la sua stessa esistenza. “Cigni” ha i contorni della fiaba, sospesa in un tempo antico, ma è la vita reale, come il matrimonio, a essere evocata. Della realtà del matrimonio, delle pieghe dei giorni, degli spazi delle relazioni, Bass indaga le fragilità, in “Cigni” come, per vie diverse, nella storia di un vigile del fuoco volontario che solo nelle pause dalla vita quotidiana ritrova sé stesso e le ragioni per non arrendersi:

 

Sembrerebbe il racconto di una fiaba: un matrimonio felice. […] Uno di quei rari matrimoni, più raro di un gioiello o di un bosco, che veniva salvato da una combinazione di forza interiore e di grazia e da una serie di coincidenze esterne e fortuite – il mondo che va a fuoco.
(“Il vigile del fuoco”, p. 173)

 

C’è dentro questa storia uno spazio di riflessione che in apparenza svicola dal tema cardine del racconto – la storia di un matrimonio – ma che scava dentro il lettore: è il cuore diviso del protagonista e il fragile equilibrio su cui costruisce il rapporto con la figlia avuta da una prima relazione; un fuoco che divampa dentro di lui, lo strazio delle ripetute separazioni dopo ogni visita concordata, la paziente attesa, il cuore a pezzi da tenere celato.
Sono le parole non dette, in molti casi, a costruire la narrazione, a creare solitudini o proteggere chi amiamo; nelle terre selvagge, tra città che stanno scomparendo, il passato che si incastra al presente, entro gli spazi ristretti di piccole comunità di provincia, Bass costruisce la sua epica quotidiana con dodici storie che si collocano perfettamente in una tradizione di cantori dell’America rurale: Kent Haruf, Larry McMurtry, Lorrie Moore o, ancora e di diversa natura, Chris Offutt, Annie Proulx, Eudora Welty, per citarne alcuni. È qui che affonda le radici la voce letteraria, unica e possente, di Bass, che accoglie la tradizione e la rinnova. Le sue storie non sono immediate e come ogni forma breve richiedono uno sforzo a noi lettori, un’immersione totale, emotiva anche, per accoglierne la polifonia, le occorrenze, i contrasti, gli spunti. Ne riconosciamo la bellezza, il valore letterario, appena fatto un passo indietro, qualche momento dopo la lettura. Ed è proprio da qui che ci appaiono in tutta la loro straordinaria quotidianità.