Match Point è il concorso per racconti inediti in italiano organizzato da Il Circolo – Associazione Culturale Italiana, in collaborazione con la scuola di scrittura Londra Scrive. L'iniziativa ha il patrocinio del Consolato Generale d'Italia a Londra.
Anche quest’anno siamo orgogliosi di collaborare con questa iniziativa prestigiosa, che mette cura, attenzione e dedizione sia alla selezione dei testi vincitori, che alla fase di editing dedicata ai tre racconti finalisti.
Il tema di quest’anno è stato ‘Futuro o no?’, declinato nei modi più personali e disparati.
Cattedrale vi presenta il terzo racconto classificato, dandovi appuntamento ai prossimi venerdì per scoprire il secondo e il primo classificato.
Buone letture!
Terzo classificato
Il racconto Il dito si sviluppa tutto intorno all’evento insolito e inquietante di un uomo che, tornando a casa, trova un dito sul marciapiede. Di chi potrà essere? Come comportarsi? Cosa farne? L’elemento surreale non lascia mai il racconto che, allo stesso tempo, è assai analitico nel flusso di coscienza che questo evento scatena nel protagonista. Tra il comico e l’esistenziale, diventa quasi una parodia dell’incapacità adulta di assumersi responsabilità.
IL DITO
di
Max Mauro
Ho trovato un dito sul marciapiede. Era sporco di terra e polvere di asfalto, era stato calpestato più volte ma era ancora integro. L’ho raccolto, l’ho posato sul palmo della mano come fosse un diamante e l’ho guardato.
Era evidentemente un dito adulto. Maschile. Alcuni peli spessi e scuri puntellavano la pelle come bandiere solitarie. Era un anulare o un dito medio, di certo non un indice, perché difettava della leggera curvatura verso l’interno tipica dell’indice, e nemmeno un mignolo, che è minuto, palesemente mingherlino. La nocca era nodosa, piena di pieghe come quella di un guidatore di bobcat. Per muovere tali macchine servono mani forti e agili che all’aria aperta si screpolano lasciando profondi segni nelle nocche. Un monito per chi li accarezza, ricordano che la vita è una sequenza di rughe che nascondono ferite. Il dito aveva una storia.
Era un dito straniero? Difficile dirlo. Chi è lo straniero? C’è sempre qualcuno che è straniero rispetto a qualcun altro. Non era un dito nero, questo potevo intuirlo, quindi se era straniero era meno straniero di altri stranieri, almeno agli occhi di chi detta le regole, in questo luogo, in questo momento.
Forse era stato il dito di un operaio di una ditta di traslochi, un operaio senza contratto e senza permesso di lavoro, fuggito sanguinante per timore della legge o del padrone. Un dito sacrificato all’altare della forza. Bruta. La legge dei moderni fuorilegge: stato e padroni.
O forse era stato il dito di un ladro maldestro, costretto a saltare dalla finestra della casa che stava cercando di svuotare. Nel volo si è impigliato, o meglio la mano si è impigliata, in un momentaneo supporto. Zac. Il dito è volato altrove. Solo.
E se fosse il dito di un uomo pestato da altri uomini? Ubriachi. Incazzati. Inconsciamente disperati. Convinti di ripulire il marcio insidiato dentro di loro gettandolo sugli altri. Pestato, l’uomo è stato trascinato lontano dalle abitazioni. Ma il dito è rimasto lì, in mezzo alla strada, sul marciapiede, affinché io lo trovassi.
Che ci faceva un dito sul marciapiede? Di chi era?
Mi seccava lasciarlo in terra, non mi sembrava umano ignorare un pezzo di mano, anche se appartenuto a uno sconosciuto. Forse avrei dovuto avvolgerlo in un foglio di giornale, quello stesso giornale abbandonato in strada, uno degli ultimi giornali, o in un fazzoletto di carta, un mezzo più discreto, più conveniente. E poi appoggiarlo sul davanzale della casa più vicina e appiccicarci sopra un biglietto. Attenzione: contiene dito abbandonato. Oppure avrei dovuto scrivere più biglietti e appenderli sui muri del quartiere, nell’atrio del palazzo, sui pali della luce, all’ingresso del negozietto all’angolo. Chi ha perso un dito è pregato di rivolgersi a – e metterci il mio numero di telefono e magari pure un’email. Oppure avrei potuto postare l’immagine su Facebook, Instagram o Twitter e chiedere notizie del possessore di un dito mancante. Questo dito è stato trovato in tale via in tale giorno – contattatemi se siete la persona interessata. Infine, avrei potuto telefonare all’emergenza medica e raccontare il fatto: ho trovato un dito, che ne faccio? Ve lo venite a prendere?
Invece no. L’ho raccolto e l’ho pulito con un tovagliolo di carta mezzo usato, residuo del tardivo pranzo. A parte la terra e la polvere non c’erano macchie, sul dito; il sangue colato nel momento dello strappo, perché di taglio non c’era segno, si era rappreso e col suo colore nero buio scuro indicava un estremo, il limite del dito. Oltre il nero c’è il vuoto: la fine del dito.
Poi l’ho messo in tasca, ma nella tasca della giacca, che è più morbida e larga. Non volevo che si trovasse stretto nella tasca dei pantaloni rischiando un nuovo trauma. La tasca dei pantaloni è inadatta a contenere cose delicate. È fatta per accogliere le nostre mani, o solo le dita, le nostre, quando non sappiamo cosa farne.
Poi me ne sono andato. Incamminandomi, però, mi sono guardato attorno. Ero un ladro? Probabilmente il possessore del dito a quest’ora se n’era già fatta una ragione. Forse l’aveva cercato assieme ai suoi complici o amici (ma che amici sono quelli di qualcuno che lascia un dito in strada e non se ne avvede?) e non avendolo trovato si sarà detto: un dito in meno, cosa vuoi che sia? Basta farci l’abitudine. Così mi sono giustificato, alleviando il senso di colpa.
Ma, sinceramente, che senso può avere un dito da solo, staccato dalla mano con cui era nato e insieme a cui era cresciuto? Cosa ne possiamo fare? Oddio, dovrei essere più prudente nei miei pensieri. Non vorrei suggerire un nuovo, ennesimo, valore di scambio. Offriamo un dito su eBay, qualcuno interessato a comprarlo di certo ci sarà. Ma io resisto, mi illudo di essere umano. Altrimenti non mi sarei trovato col dito di un estraneo infilato nella tasca della giacca, avvolto in un tovagliolo di carta.
Salendo le scale del mio palazzo l’eccitazione per l’insolito ritrovamento si è tramutata in ansia. Ogni scalino un po’ più ansia e un po’ meno eccitazione, fino ad arrivare alla porta dell’appartamento con lo stato d’animo di un accusato di omicidio colposo. Dovevo sbarazzarmi del dito. Eppure fino a pochi minuti prima era stata una ragione di curiosità, perché questo cambio repentino?
Nella tasca, il dito mi pesava. Aveva assunto il peso di un martello, un martello che picchiava contro l’anca ma in realtà picchiava dritto alle tempie. Mi picchiava in testa per dirmi qualcosa. Il dito non è tuo. Ma io l’ho trovato. Il dito non è tuo. Ma io l’ho pulito. Il dito non è tuo. Ma l’hanno calpestato. Il dito non è tuo. Il dito non è tuo.
Ho aperto la finestra e l’ho gettato via. Lontano, oltre il muro che separa il mio palazzo da un parco. Mi sono seduto sul balcone con l’orecchio teso in quella direzione, in attesa di reazioni. Ho buttato lo sguardo, potevo vedere il punto dove era finito il dito. Non c’era nessuno intorno. Forse vado a riprendermelo, non è giusto lasciarlo così, è pur sempre un dito. I pensieri si accavallavano, confusi.
È arrivato un cane, correndo, le orecchie penzolanti a fendere l’aria. Ha annusato. Ha annusato ancora e poi ha aperto la bocca. Il dito è scomparso nella sua bocca, in un angolo del parco. Fine.
Venerdì 28 Febbraio sarà pubblicato su queste pagine il
nuovo bando di MATCH POINT con il nuovo tema