C’era una volta un uomo che viveva vicino a un cimitero, di M.R. James

Racconti Edizioni porta in libreria Monito ai curiosi, storie di fantasmi, di M.R James.
Si racconta che la vigilia di Natale, al King’s College di Cambridge, in diversi, fra studenti e professori, si radunassero attorno a un fuoco vivace per ascoltare delle storie di fantasmi. Era diventata quasi una tradizione. Dentro la saletta, invece, la piccola cerchia era tutta raccolta attorno a questa voce che descriveva canoniche deserte e saloni ingombri di cianfrusaglie, e che si faceva più profonda quando in un manoscritto ritrovato si rintracciava quello che, a tutti gli effetti, sembrava proprio un presagio sinistro. La voce nella penombra era quella di M.R. James, i racconti che leggeva, invece, erano quelli che trovate in Monito ai curiosi.
Riprendere in mano queste storie oggi, dunque, non è certo un mero esercizio di hauntology né di nostalgia per un’epoca in cui bastava un rintocco di campana per farci piombare dentro un’atmosfera soprannaturale e nel terrore più autentico. Come gli oggetti inanimati che incontrerete in questo libro, anche questi racconti oggi sono capaci di assumere una nuova vita e forma.

Cattedrale vi propone uno dei testi contenuti nella raccolta, per gentile concessione dell’editore.

C’era una volta un uomo che viveva vicino a un cimitero
di
M.R. James

Questo, come sapete, è l’incipit della storia di spiriti e folletti che Mamilio, il bambino meglio descritto da Shakespeare, raccontava a sua madre, la regina, e alle dame di corte, quando il re irruppe con le sue guardie e la rinchiuse in prigione. Il racconto non ebbe un seguito dato che Mamilio morì poco dopo senza aver avuto la possibilità di terminarlo. Ora, come sarebbe andata a finire? Shakespeare di sicuro lo sapeva e, permettetemi di dire, anch’io. Non sarebbe stata una storia originale, ma una che probabilmente avete già sentito, e persino raccontato. Ciascuno è libero di darne la versione che preferisce. Questa è la mia:

C’era una volta un uomo che viveva vicino a un cimitero. Aveva una casa su due piani, quello inferiore era in pietra e quello superiore in legno. Le finestre della facciata davano sulla strada e quelle del retro sul cimitero. Un tempo – all’epoca della regina Elisabetta – l’edificio apparteneva al parroco, ma il sacerdote era sposato e gli servivano più stanze; inoltre alla moglie non piaceva vedere il cimitero dalla finestra della camera matrimoniale di notte. Diceva che si vedevano… Ma lasciamo stare ciò che diceva; fatto sta che non aveva dato tregua al marito finché non lo aveva convinto a traslocare in una casa più grande nella via principale del paese, e in quella vecchia si stabilì John Poole, un vedovo che vi abitava da solo. Era un uomo anziano che se ne stava molto per conto suo e la gente lo considerava un taccagno.
Molto probabilmente era vero: di sicuro per certe cose era morboso. A quei tempi era consuetudine seppellire i morti di sera e alla luce delle fiaccole: ogni volta che era in corso un funerale, si notava che John Poole guardava dalla finestra, al piano terra o al piano superiore, a seconda che avesse una vista migliore dall’uno o dall’altro.
Venne una sera in cui doveva essere seppellita una vecchia signora. Era piuttosto benestante ma la gente del posto non la vedeva di buon occhio. Di lei si dicevano le solite cose, che non era cristiana e che, in notti come quella della vigilia di mezza estate e di Ognissanti, non era mai a casa. Aveva gli occhi rossi e a guardarla faceva paura, tanto che nemmeno i mendicanti bussavano mai alla sua porta. Eppure, quando morì, lasciò una discreta somma di denaro alla chiesa.
La sera della sua sepoltura non era tempestosa; al contrario, era molto serena e tranquilla. Eppure, trovare uomini disposti a portare la bara e le fiaccole non fu un’impresa semplice, malgrado avesse previsto compensi più alti del solito per chi avesse eseguito il compito. La signora venne sepolta avvolta in una coperta di lana, senza bara. Non c’era nessuno tranne le persone strettamente necessarie… e John Poole, che guardava dalla finestra. Subito prima che la fossa venisse riempita, il parroco si chinò e gettò qualcosa sul corpo (qualcosa che tintinnava) e pronunciò a bassa voce alcune parole che suonavano più o meno così: «Che il tuo denaro muoia con te». Poi si allontanò in fretta, come tutti gli altri uomini, tranne uno che portava la fiaccola per illuminare il sagrestano e il garzone che spalavano la terra. Non fecero un lavoro accurato e il giorno dopo, che era domenica, i parrocchiani si lamentarono con il sagrestano, dicendo che era la tomba più disordinata del cimitero. E in effetti, quando lui stesso tornò a controllarla, gli sembrò che fosse molto peggio di come l’aveva lasciata.
Nel frattempo John Poole si aggirava con aria strana, in parte euforica, per così dire, e in parte inquieta. Contrariamente alle sue solite abitudini, trascorse più di una serata alla locanda e a coloro che si fermavano a fare due chiacchiere con lui fece intendere di essere entrato in possesso di una piccola somma di denaro e di voler cercare una casa migliore. «Be’, non mi meraviglia affatto» disse una sera il fabbro, «io non potrei proprio vivere in un posto simile. Starei tutta la notte a immaginarmi chissà quali cose.» L’oste gli chiese che genere di cose.
«Eh, magari qualcuno che si intrufola dalla finestra della camera, o roba simile» rispose il fabbro. «Che so… tipo la vecchia Wilkins, che è stata sepolta proprio una settimana fa, no?»
«Insomma, dovrebbe avere un po’ di riguardo per la sensibilità altrui» disse l’oste. «Non è bello nei confronti del signor Poole, le pare?»
«Il signor Poole mica ci fa caso» replicò il fabbro. «Se non lo sa lui che ci abita da tanto tempo. Dico solo che io non avrei mai scelto di star lì. La campana a morto e le fiaccole quando seppelliscono qualcuno, e tutte quelle tombe che stanno lì così silenziose quando non c’è più nessuno in giro… Anche se ho sentito parlare di alcune luci, le ha mai viste, signor Poole?»
«No, non ho mai visto nessuna luce» rispose Poole in modo brusco. Ordinò un altro bicchiere e rientrò a casa tardi.
Quella notte, mentre era sdraiato sul suo letto al piano di sopra, il vento cominciò a ululare intorno alla casa e lui non riusciva a prendere sonno. Si alzò e attraversò la stanza fino a un armadietto a muro: tirò fuori qualcosa che tintinnava e se lo infilò nella vestaglia all’altezza del petto. Poi andò alla finestra e guardò verso il cimitero.
Vi è mai capitato di vedere in una chiesa una vecchia lastra d’ottone, con impressa la sagoma di una persona avvolta in un sudario? La parte della testa sporge in modo bizzarro. Qualcosa di simile spuntava dalla terra in un punto del cimitero che John Poole conosceva molto bene. Si precipitò nel suo letto e rimase lì perfettamente immobile.
Poco dopo sentì qualcosa che picchiettava sommessamente contro la finestra. Molto riluttante, John Poole rivolse comunque lo sguardo atterrito in quella direzione. Ahimè! Fra lui e la luce lunare si stagliava la sagoma nera di una strana testa fasciata… Poi nella stanza apparve una figura. Sul pavimento rimbombò il suono della terra secca. Una voce flebile e gracchiante disse: «Dov’è?» mentre risuonavano passi che andavano e venivano, passi incerti, di qualcuno che camminava a fatica. Di tanto in tanto si riusciva a scorgerla, mentre scrutava negli angoli, si chinava a guardare sotto le sedie; alla fine, si udì che armeggiava con le ante dell’armadietto a muro e le spalancava. Poi, lo stridio di unghie lunghe sui ripiani vuoti. La figura si voltò di scatto, si fermò per un istante accanto al letto, alzò le braccia e con un urlo rauco disse: «CE L’HAI TU!».
A questo punto Sua Altezza Reale il principe Mamilio (il quale, penso, l’avrebbe fatta molto più breve), lanciando un grido, si gettò sulla più giovane delle damigelle presenti, che rispose con un urlo altrettanto penetrante. Il principe fu immediatamente trattenuto da Sua Maestà la regina Ermione che, frenando l’impulso di ridere, lo schiaffeggiò con gran severità. Paonazzo e sul punto di scoppiare a piangere, stava per essere mandato a letto, ma per intercessione della sua stessa vittima, ormai ripresasi dallo spavento, gli fu infine permesso di restare sino alla solita ora; nel frattempo anche lui si era ristabilito a tal punto da affermare, mentre dava la buonanotte alla compagnia, che conosceva un’altra storia almeno tre volte più spaventosa di quella, e che l’avrebbe raccontata alla prima occasione.