La notte fa ancora paura, di Fosca Navarra

di Fabrizia Gagliardi


Nel suo esordio narrativo La notte fa ancora paura (minimum fax, 2025), Fosca Navarra compone una raccolta corale e ipnotica, che attraversa geografie, secoli e corpi femminili, restituendo un’epica intima e politica al tempo stesso.
Una gatta, Aida, si fa guida e custode di memorie reincarnate: da una Milano post-unitaria a una Cina patriarcale, da una Parigi notturna agli anni cupi del fascismo coloniale, fino all’America del maccartismo e alla Napoli al principio del ’68. Ogni protagonista femminile è un nodo in un percorso ingarbugliato e impervio che la società tenta di recidere, ma che la scrittura tiene insieme con grazia e tenacia.
Con una prosa raffinata e sensuale Navarra (classe 2000, già autrice della raccolta poetica Perdutamente per Ensemble, 2023) orchestra sette ritratti femminili che brillano di luce propria e sembrano riflettersi l’un l’altro, come stelle in un firmamento inquieto. I dettagli simbolici si mescolano con la memoria collettiva e l’intera raccolta è percorsa da una forza ancestrale che muove la resistenza e la sopravvivenza ai soprusi.
Tra echi poetici e modernità, Navarra costruisce un romanzo a staffetta potente e suggestivo, che riesce a restituire la delicatezza delle esistenze femminili e l’urgenza della loro voce in un percorso storico e interiore. Il risultato è un racconto visionario ma profondamente umano, in cui la notte non è solo metafora della paura, ma anche luogo della consapevolezza e dell’insurrezione.

Abbiamo intervistato l’autrice per scoprire come sono nate Aida e le sue sorelle d’anima, per parlare di reincarnazione, di corpi e costrizioni, di voce e memoria, e di quella notte che — oggi come ieri — fa ancora paura.

 

Com’è nata l’idea del romanzo?

Il romanzo, che era inizialmente stato concepito come un racconto breve, nasce dal proverbio dei gatti e delle sette vite. Fin da subito mi è stato chiaro che avrei parlato di donne, ma soltanto anni dopo ho cominciato a capire cosa davvero significasse la gatta Aida e perché tutto partisse da lei.

 

Ogni storia è a sé stante e interconnessa, allo stesso tempo, con la successiva. Solo nel loro insieme tutte le vicende acquistano un senso. È una resa particolare che sfuma i contorni di due forme narrative ingiustamente messe agli antipodi. Avevi pensato da subito a questa forma? Credi che definire l’opera come una raccolta di racconti sia improprio?

Non avevo pensato subito a questa forma. La storia ha assunto la parvenza di una raccolta di racconti perché ha iniziato a espandersi; e dico “parvenza” dal momento che, a mio parere, quest’opera è un romanzo a tutti gli effetti. La protagonista di questa storia, anche se acquisisce ogni volta diverse sembianze, è in fondo sempre la stessa; il finale dell’ultima storia non conclude solo la vicenda di Carmen, ma tira le somme dell’intero percorso della sua anima. La narrazione potrebbe apparire frammentata, ma i frammenti sono in realtà parti combacianti di una stessa materia narrativa.

 

Ogni storia alterna registri lirici e storici e si avverte musicalità e precisione del linguaggio. Come hai lavorato sullo stile per costruire questo equilibrio tra prosa e lirismo?

Direi che è stato più difficile tenere a bada l’impulso lirico che quello da narratrice. Ogni tanto avevo infatti l'impressione di dover tornare ai fatti, alle esigenze dei personaggi lì dove invece avrei voluto prendere il volo verso descrizioni e figure retoriche. In fase di editing, la mia editor mi diceva: “Fosca, non poetare troppo! Torna sulla terra!” Aveva ragione a farmelo notare, a invitarmi a una disciplina e a una praticità che tendenzialmente non possiedo. Per questo mi definisco una poetessa prestata alla prosa.

 

L’opera è attraversata da una tensione tra desiderio di affermazione personale e strutture culturali oppressive. In questo senso, durante la scrittura ti sei ispirata a testi femministi, storici o a eventi che ti hanno coinvolta in prima persona? E, in generale, quali sono le autrici, gli autori e le tue opere preferite?

Per quanto mi reputi tutto sommato una femminista autodidatta, nel senso che ho imparato in materia di femminismo più dalle esperienze di vita che dai testi, vorrei citare un libro che mi ha fornito un appiglio teorico fondamentale per la scrittura di La notte fa ancora paura, e cioè La volontà di cambiare di Bell hooks. In generale poi ci sono tanti autori e autrici e opere che hanno significato e che significano molto per me, ma in questa occasione non posso fare a meno di menzionare Orlando di Virginia Woolf, un libro così bello che quando lo lessi pensai: “Avrei voluto scriverlo io!”

 

Il tuo esordio in prosa arriva dopo una pubblicazione poetica. Cosa hai portato con te dalla poesia nella costruzione di un’opera corale e di storie brevi come questa? E cosa, invece, hai dovuto lasciare indietro?

Dalla poesia ho conservato la tendenza a pensare per immagini, a esprimermi attraverso simboli. La prosa mi ha costretta a fare i conti con una struttura più complessa, più rigorosa: di frequente, durante le stesure del testo, dovevo fermarmi per riflettere, prendere appunti. Quando mi dedico alla narrativa, la cosa che più mi manca della poesia è proprio quella sua immediatezza fulminea, quei suoi guizzi puerili in cui tutto è espresso così, di getto, e si tiene in piedi senza la necessità di impalcature, come se fluttuasse.

 

Nel testo, ogni protagonista femminile attraversa un’epoca diversa, ma tutte condividono una memoria e un destino comune. Sono spesso costrette a modificare il proprio corpo e i propri desideri per sopravvivere. In effetti, non sembra esserci speranza che conduca all’attualità a confermare il contrario. Quanto è ancora attuale, secondo te, questo tipo di metamorfosi forzata?
Che tipo di dialogo hai voluto instaurare tra queste vite e l’idea di eredità femminile oggi?

Se questo romanzo è stato partorito da una scrittrice nata nel ventunesimo secolo, significa che questo tipo di costrizioni sono più attuali che mai. Rimane però, e forse si consolida col passare degli anni, una speranza nel cambiamento. Se non saremo noi a beneficiare di una rivoluzione, magari saranno le donne - e gli uomini - che verranno poi a trovare la forza per costruire una società migliore. Anche questo significa avere una coscienza collettiva.

 

Il romanzo sembra sfidare l’idea di linearità e di destino individuale in favore di una rete di vite interconnesse. Pensi che nelle vite di tutti i giorni manchi una “memoria collettiva femminile”, una sorellanza tacitamente condivisa, che sopravvive al tempo e alla morte?

Esiste certamente, ma in parte sembra sopita: il punto non è inventare una sorellanza, ma risvegliarla. La nostra missione è capire come uscire da questo stato di torpore, come darci da fare per rendere la realizzazione della nostra speranza di cambiamento più vicina che mai.