Sul racconto breve, di Andrej Longo

di Andrej Longo

Perché nel romanzo ogni evento che

accade, sia esso frutto della casualità o di una scelta precisa, genera una

conseguenza, un cambiamento.

È una metafora della vita, il romanzo.

Mentre il racconto è solo un brandello di vita.

Per esempio i racconti di Carver. La punta dell’iceberg. Si vede solo quella. Il resto è solo un’ombra che scorre sott’acqua. S’intuisce. Si percepisce. Da piccoli segni: scricchiolii nella stanza, un sospiro appena accennato, un refolo di vento che si alza all’improvviso.

Prendiamo “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” da cui Altman ha tratto lo splendido film “America oggi”.  
In particolare, tenendo sempre presente la versione cinematografica di Altman, concentriamoci sul racconto: “Così tanta di quell’acqua a due passi da casa”.
La giornata tanto attesta è arrivata. I tre amici montano in macchina all’alba e si fanno un bel pezzo di strada verso le montagne. Lasciano la macchina tra i monti, e poi proseguono a piedi per altri dieci chilometri.  Finalmente raggiungono il posto che hanno scelto per la loro annuale pescata. È un luogo incontaminato, lontano dal mondo, dove si sentono solo gli uccelli cantare e il mormorio dell’acqua che scorre nel fiume.
I tre uomini hanno le canne e i vermi per pescare, e per due giorni saranno lì con l’unica compagnia delle loro chiacchiere e dei pesci che prenderanno. 
Sono pieni di aspettative, pieni di quell’allegria maschile un po’ infantile che riempie il cuore di gioia per cose semplici, a volte banali.
Sono lì finalmente.
Montano la tenda, stappano una birra, tirano fuori tutte le cose che hanno portato. Fermi tutti.
Ho scritto “tutte le cose che hanno portato”, ma in un racconto non si può essere così vaghi, così generici. Occorre precisione, poiché ogni parola ha un peso, un significato, una ragione d’essere. E dunque non si può scrivere “tirano fuori tutte le cose che hanno portato”.
Difatti Carver non lo scrive. Carver scrive che tirano fuori i sacchi a pelo, la roba da mangiare, le carte da gioco, il whiskey.
Insomma, sono lì tutti indaffarati, eccitati, impazienti di cominciare la pesca, quando ecco che nell’acqua del fiume, un’acqua limpida e trasparente, vedono il corpo di una ragazza nuda. La ragazza è morta, non c’è alcun dubbio su questo. È morta da qualche giorno e certo dev’essersi trattato di un omicidio.
I tre uomini, dopo l’iniziale sorpresa, si mettono a discutere su quel che debbono fare. Dovrebbero avvertire la polizia, lo sanno bene. E siccome negli anni ottanta, gli anni in cui Carver scrive i suoi racconti, i cellulari non esistono, dovrebbero tornare indietro i tre amici, dovrebbero camminare a piedi per due ore, poi montare in macchina e guidare per altre due o tre ore, fino a raggiungere un commissariato dove poter sporgere denuncia. Ma non basterà dichiarare quel che hanno visto. Di sicuro si andrà per le lunghe: ci saranno delle domande, la richiesta di particolari, di dettagli, e forse dovranno anche combattere con qualche inevitabile sospetto. Insomma, tornare indietro vorrebbe dire rinunciare alla gita e alla  pescata programmata da tempo.
Però, oramai, è chiaro anche che per questa povera ragazza non c’è più niente da fare. Denunciare la sua morte ora o fra due giorni non cambierà nulla. Perciò, dopo aver discusso a lungo, decidono di restare lì a pescare. E per quanto riguarda il corpo nell’acqua, lo legano con un pezzo di lenza ad un albero, così che la corrente non lo porti via.
E Carver, sulla scelta che questi uomini fanno, non esprime nessun parere, nessuna opinione personale, nessun elemento che lasci trapelare un giudizio.
I tre uomini, così, trascorrono due giorni in quell’angolo di paradiso. E la pesca che fanno è quasi miracolosa. Certo, ogni tanto il pensiero torna alla ragazza morta. Si chiedono chi può averla ammazzata, e perché è stata uccisa. E si chiedono se sia capitato di giorno o di notte. Ma poi tornano a concentrarsi sui  pesci che abboccano, e bevono birra, e whiskey, e guardano incantati quel tetto di stelle che dopo il tramonto si stende sulle loro teste.
Trascorsi i due giorni i tre amici rimontano in macchina e lungo la strada di ritorno si fermano a fare la loro denuncia.
E poi eccoli arrivare a casa.
Carver concentra la sua attenzione su uno in particolare di questi uomini.
Lui si chiama Stuart. E a casa c’è la moglie che l’aspetta.
Stuart ama sua moglie, e lei ama lui. Cenano in allegria, chiacchierano,  fanno l’amore.
E dopo l’amore, mentre la moglie di Stuart sta per addormentarsi felice, l’uomo comincia a parlare.
E di cosa parla Stuart? Parla proprio della ragazza che hanno trovato nel fiume.
Perché ne parla?
Carver non ce lo dice. Ma è chiaro dal tono, dalle parole appena accennate, dalle pause che Stuart fa nel suo racconto alla moglie, che l’uomo si sente  in colpa per non aver sporto subito denuncia. E parlare della ragazza è un tentativo di soffocarli quei sensi di colpa, cercando di giustificare a sé stesso il suo comportamento.
Ma la moglie non lo giustifica affatto. Anzi s’indigna.
C’è dolore nella sua indignazione, perché Stuart, l’uomo che lei ama e che fino a pochi minuti prima ha ritenuto un brav’uomo onesto e sensibile, si è invece dimostrato egoista e indifferente.
Ed è bellissima questa moglie che comunque, dopo l’iniziale indignazione, prova a giustificare l’uomo che ama.
Dopo quanti giorni avete scoperto il corpo?” chiede con la voce incerta.
Sperando che l’abbiano trovato al termine della loro gita, sperando che sì, un po’ indifferente è stato il suo Stuart, ma non così tanto.
Ma Stuart risponde che quel corpo l’hanno scoperto subito, appena arrivati al fiume. Non mente Stuart, anche se continua a ripetere che la ragazza era morta, che non c’era più niente da fare per lei.
E quando siete andati alla polizia?” chiede ancora la moglie.
Sperando ancora che l’egoismo e l’insensibilità non siano stati poi così eccessivi. E che Stuart e i suoi amici siano andati subito dalla polizia.
Invece no, sono passati due giorni prima della denuncia. “Ma lei era morta” continua a ripetere Stuart “era morta, morta, morta, lo capisci che era morta?
E più lo ripete, più si rende conto che non è di quello che stanno discutendo. E per cercare di rendere meno grave la sua colpa spiega che comunque l’hanno legata la ragazza, affinché la corrente non portasse via il corpo.
La donna piange, adesso. Piange in silenzio perché ormai non può più nascondere a sé stessa l’egoismo che il suo Stuart ha evidenziato.
Però fa l’ultima domanda, si attacca all’ultima speranza: “Ma dove avete pescato in questi due giorni?
E spera almeno che suo marito non si sia messo a pescare proprio lì, a pochi metri dal cadavere.
E invece è proprio lì che i tre amici hanno pescato, con il cadavere che dondolava sul fondo del fiume mentre i pesci abboccavano.  

Ecco, questo è il racconto di Carver.
Racconto che ha ancora un piccolo seguito, ma che finisce senza un vero e proprio finale. Finisce con questa crepa che si è aperta nella vita di un uomo e una donna che si amavano. E non ci è dato sapere se continueranno ad amarsi. E in che maniera si ameranno d’ora in poi. O se invece si lasceranno.
Perché nei racconti è così che funziona.
Le storie restano in sospeso.
Le vite restano in sospeso.
Tutto galleggia in maniera indefinita.  

E se invece di un racconto si fosse trattato di un romanzo? Cosa sarebbe cambiato?
Avremmo di certo saputo molto di più di questa coppia. E quello che Stuart e i suoi amici hanno fatto in un romanzo avrebbe avuto conseguenze più profonde e più drammatiche. Perché nel romanzo ogni evento che accade, sia esso frutto della casualità o di una scelta precisa, genera una conseguenza, un cambiamento.
È una metafora della vita, il romanzo.
Mentre il racconto è solo un brandello di vita.  
Di quella vita noi ne cogliamo un attimo, un attimo importante che riguarda uno o più protagonisti, ma le conseguenze di quest’attimo non le vediamo. Le conseguenze non sono così importanti nella stesura di un racconto. L’importante è l’iceberg che viene svelato e che affiora sulla superficie del mare.
Mi verrebbe quasi da dire, per concludere, che nel romanzo sono importanti le risposte che si danno.
Mentre nel racconto sono le domande ad essere fondamentali.